Fame da junk food: è vero che il cibo spazzatura altera la percezione e spinge a mangiare ancora?

    Il cosiddetto “cibo spazzatura può influenzare il meccanismo di ricompensa del cervello guidato dalle sensazioni di piacere. Sappiamo bene come le nostre preferenze possono determinare, spesso in senso negativo, le scelte a tavola. Alte concentrazioni di zuccheri, grassi e sale stimolano fortemente questo sistema, che recenti ricerche hanno riconsiderato, ritenendolo capace di alterare la percezione, modificare aree del cervello e aumentare la propensione a mangiare. Ma di cosa si tratta e quali sono le ragioni scientifiche della fame da junk food? Considerando gli ultimi studi, che in questi meccanismi evidenziano anche il ruolo dell’intestino, cerchiamo di approfondire un tema alla base dei futuri piani contro l’obesità.

    Fame da junk food: le ricerche

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    Mangiare produce piacere, e quello che viene comunemente definito “cibo spazzatura” può stimolare maggiormente il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che rafforza un comportamento gratificante, invogliando a ripeterlo. In certi casi, però, questo sistema può generare comportamenti compulsivi e altamente nocivi, come le dipendenze da sostanze. Il mondo scientifico ha analizzato il meccanismo delle ricompense e nel 2020 il progetto REBOST, finanziato dall’Unione europea, ha indagato i processi neurologici attraverso i quali il consumo eccessivo di alimenti ricchi di zuccheri, grassi e sale influenza il sistema cerebrale di ricompensa, evidenziando proprio la sua vulnerabilità rispetto ai junk food.

    Il gruppo di ricerca non si è interessato solo agli effetti del consumo eccessivo di questi alimenti sul sistema di gratificazione, ma ha cercato di capire come questo possa influenzare le risposte ad altre ricompense. Nei test è stata sottoposta ai ratti una dieta chiamata “da bar” (identificata con la sigla CAF, da caffetteria), per ricreare le abitudini più popolari tra gli esseri umani. In seguito, è stata effettuata una prova per valutare il comportamento dei ratti di fronte ai “premi” in cibo. Durante la ricerca è stata monitorata l’attività neuronale nell’area tegmentale ventrale, la regione del cervello coinvolta nel meccanismo di ricompensa e si è constatato che il cibo spazzatura influisce sul sistema cerebrale. I ratti hanno seguito la dieta CAF a lungo termine, ma nel tempo hanno mostrato meno interesse verso il junk food come gratificazione, suggerendo che il premio alimentare era diventato via via meno stimolante.

    Secondo gli studiosi, questo effetto sul comportamento corrisponde ad alterazioni nell’attività del cervello, come dimostrato dalle risposte ridotte dell’attività neurale nella regione tegmentale ventrale. In condizioni normali, l’attività neurale in quest’area del cervello cresce quando i ratti annusano il cibo-ricompensa. Gli stessi cambiamenti nel sistema cerebrale erano evidenti anche quando gli animali erano esposti a un premio sessuale. Complessivamente, i dati raccolti dal progetto REBOST indicano che il consumo di cibo spazzatura desensibilizza il sistema di ricompensa cerebrale deputato agli alimenti, e che con tutta probabilità, nel tempo, sono necessari nuovi premi per ottenere la stessa gratificazione. Questo effetto, per di più, non si placa nell’immediato se si evita di mangiare cibo spazzatura. I risultati, secondo i ricercatori, hanno posto le basi per comprendere e spiegare i processi cerebrali che favoriscono l’obesità e non solo.

    Il cibo spazzatura modifica la memoria e l’autocontrollo

    Oltre a quanto già emerso, il consumo di junk food è in grado di sabotare la memoria e l’autocontrollo, tanto che in una sola settimana può interferire con l’attività dell’ippocampo, area determinate per governare la funzione mnemonica e la regolazione dell’appetito; e questo succede nei topi come nell’essere umano. A provarlo è una ricerca pubblicata su Royal Society Open Science: un gruppo di volontari sani e normopeso sottoposto a una settimana di “dieta occidentale”, molto ricca di cibo spazzatura, ha riportato difficoltà a ricordare e controllare lo stimolo della fame.

    Se era già stata accertata la capacità del cibo spazzatura di creare dipendenza e aumentare la voglia di mangiarne ancora, per la prima volta si è anche osservato questo effetto diretto sull’ippocampo, che inibisce i freni della fame, perdipiù in soggetti giovani e sani che non erano mai stati obesi. Normalmente, infatti, quando vediamo un cibo che ci è piaciuto, il cervello richiama i ricordi dell’ultima volta che lo abbiamo mangiato, ma se siamo sazi l’ippocampo sopprime questi stimoli e attenua il desiderio.

    Questo argine, però, non entra più in azione dopo appena qualche giorno di dieta a base di cibo spazzatura. Per raggiungere questa evidenza, i ricercatori hanno reclutato 110 volontari ventenni, sani e in buona forma fisica, abituati a un’alimentazione ben bilanciata. A metà del gruppo è stata sottoposta una dieta ricca di zuccheri, grassi e sale, e prima, durante e dopo questo regime alimentare – che ha fatto rinunciare anzitempo 8 persone – i ragazzi hanno effettuato test di valutazione della memoria e questionari per indagare il loro desiderio di junk food e il gradimento per quello consumato. La prova ha evidenziato che chi aveva seguito una dieta ricca di cibo spazzatura ha mostrato una funzionalità ridotta dell’ippocampo, con minori capacità mnemoniche e scarsa capacità di autocontrollo. Il desiderio di averne altro era aumentato e a parità di calorie assunte la sensazione di fame era maggiore. 

    malnutrizione bambini cibo spazzatura

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    Dopo tre settimane di dieta sana, fortunatamente, le conseguenze riscontrate sono tornate alla normalità, a prova che l’influenza negativa sull’ippocampo può essere comunque eliminata.

    A conclusioni simili è arrivato anche lo studio realizzato dall’Università di Cambridge e pubblicato su NeuroImage, che ha coinvolto 1.351 giovani adulti. Utilizzando un algoritmo di intelligenza artificiale e analizzando le scansioni cerebrali di risonanze magnetiche, si è osservato un aumento delle dimensioni dell’ippocampo, associato all’inibizione del senso di sazietà. I ricercatori hanno riscontrato che il volume complessivo della struttura dell’ipotalamo era significativamente maggiore nelle persone in sovrappeso e obese.

    Intestino e cervello comunicano a livello inconscio

    Ad ampliare ulteriormente le conoscenze sugli effetti collaterali dovuti al consumo di junk food è stata un’altra ricerca pubblicata nel 2024 su Cell Metabolism, che ha approfondito i processi che si attivano durante la digestione. Infatti, esiste una sorta di legame inconscio tra intestino e cervello, che contribuisce alla voglia di cibi zuccherati o ad alto contenuto di grassi. In questo meccanismo, le cellule nervose dell’intestino e quelle del gusto nella bocca sono determinanti, e i grassi e gli zuccheri attivano percorsi distinti tra l’intestino e il cervello.

    Grazie a tecnologie di ultima generazione, si è dimostrato che diversi tipi di neuroni sono deputati alla percezione di questi diversi nutrienti, ed entrambi provocano un rilascio di dopamina nel centro di ricompensa del cervello. Al nervo vago esistono infatti due percorsi dedicati, uno per i grassi e uno per gli zuccheri, che hanno origine nell’intestino e trasmettono al cervello informazioni su ciò che abbiamo mangiato, ponendo le basi per l’appetito. La combinazione di questi meccanismi sovrastimola il desiderio di mangiare ancora, perché il cervello umano tende a essere predisposto per prediligere cibi gustosi e ipercalorici, indipendentemente dagli sforzi. Questa linea di comunicazione tra intestino e cervello, infatti, non è determinata dalla coscienza, pertanto si possono desiderare questi alimenti senza la piena consapevolezza delle proprie scelte e necessità. 

    Riuscire a controllare il sistema di ricompensa intestino-cervello potrebbe gettare le basi per nuove strategie di contrasto alle abitudini alimentari non salutari, una scoperta che intanto aiuta a comprendere meglio la difficoltà nel seguire diete restrittive. Secondo i ricercatori si tratta di un filone di studio utile a sviluppare piani innovativi contro l’obesità, che in futuro potrebbe riservare importanti progressi.

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