La natura: nuovo habitat evolutivo del cuoco

Il mestiere del cuoco non è un imperativo, una direzione a senso unico; lo si può adattare alle proprie pulsioni, al proprio vissuto, e forse è vero, la condizione ideale non viene raggiunta tutta d’un fiato, ma convergere verso la destinazione ambita è il preludio al più dolce dei propositi: l’equilibrio.

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Damiano Donati, cuoco del Ristoro della Fattoria Sardi, locanda, azienda agricola e vitivinicola biodinamica, appena fuori Lucca, il suo equilibrio lo ha scovato in una dimensione bucolica, per cui il tempo trascorso in cucina è direttamente proporzionale a quello destinato alla cura diretta dei campi, perché attratto visceralmente dai cicli naturali della terra, un richiamo che si manifesta poi, per mezzo di una trasformazione quanto più genuina di quel che la terra stessa mette a disposizione. Visione bucolica, certo, ma non poetica, poiché la natura dà e la natura toglie, perciò risulta essenziale sviscerare i suoi processi, empatizzare con i suoi ritmi, rispettarla senza mai anticiparla, né affaticarla, che si tratti di un seme che cresce, o della rielaborazione della materia in un piatto.

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Il punto di partenza per Damiano consiste in una dichiarata incompatibilità di fondo a quel modello canonico secondo il quale il cuoco sia destinato ad ancorarsi quotidianamente ai fornelli, sacrificandosi a una costretta distanza da quel che vive al di fuori di una cucina, e che però determina l’identità stessa di un pensiero gastronomico. Una ribellione che si manifesta in un momento sicuramente favorevole per Donati, annoverato tra quella schiera di giovani gagliardi che avrebbero dettato un cambio di rotta per la cucina italiana, prediligendo la naturalezza, la spontaneità, una disintegrazione della complessità alla compostezza degli stereotipi, o comunque alla centralizzazione di ingredienti che non avessero una storia, ma che fossero pura posa, apparenza. Fino a trascinarsi fuori dalla corrente per dimostrare che la cucina è solo la minima parte dell’habitat evolutivo del cuoco.

Per Damiano, infatti, c’è quell’ettaro in cui coltiva le uve destinate alla sua Cantina Anonima; una solida rete di amici produttori – dispensatori di farine, carni, cacciagione, verdure, legumi – che diventano solo poi fornitori; c’è la terra che insegna fin dove l’uomo può arrivare, e c’è quello che nutre e abita la terra – l’aria, l’acqua, ma anche la flora e la fauna –, ciò che altrimenti passerebbe inosservato tra sole padelle fumanti e ritmi serrati.

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E invece, nella cucina del Ristoro della Fattoria Sardi regna la calma, vige un ordine completamente diverso. Intanto nella gestione del lavoro: da ottobre alla prima quindicina di giugno il ristoro è aperto dal giovedì al sabato solo a cena, e la domenica a pranzo; cambio di rotta, invece, in piena estate, quando l’affluenza cresce e, quindi, accantonato il pranzo domenicale per il consueto esodo verso la costa versiliese, si aggiunge un servizio alla sera. Lunedì e martedì chiusi sempre.

Un ristoro e non un ristorante dove la scelta verte tra due soli menu degustazione composti da 5 portate ciascuno (€ 54, bevande escluse) che variano di mese in mese, la cui unica differenza sostanziale è che uno include di tutto un po’, l’altro, invece, è interamente vegano. Il che non è una sfida per Donati che il vegetale lo ha sempre prediletto facendone apprezzare la freschezza, il gusto intatto dell’ingrediente, sfruttando la complementarità tra elementi eterogenei, l’immenso potenziale delle consistenze o di abbinamenti altrettanto naturali, parte del medesimo raccolto e del medesimo habitat. Legumi, erbe aromatiche, fermentazioni delicate. Una naturalezza, che passa anche per la produzione dello yogurt, denso, setoso, a tratti pungente, dal forte sentore animale, o dei suoi salumi, come una salsiccia stagionata 70% capra, 30% maiale, o una porchetta pancettata, carnosa, profumatissima, entrambe destinate all’apertura di un aperitivo vista vigna, poi uova in salamoia alla barbabietola, pizza rossa, olive, hummus, falafel e ancora, ancora e ancora.

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Nello spazio di un servizio, si prepara il pane per l’indomani, i biscotti al burro per la colazione degli ospiti in Fattoria e lo si fa con garbo nei gesti, senza negarsi la possibilità di stabilire un contatto con i propri ospiti, educando alle scelte che la natura compie e che lo chef è chiamato ad assecondare perché qui è il buono che si impone. Visioni spontanee, senza impalcature narrative; picchi di piacere che provengono, per esempio, dalla calda cremosità di una Chitarra al burro con olio all’aglio orsino, cipollotto, limone e solo una punta di pasta d’acciughe che si dissolve in una matassa fumante; o di un pollo ruspante, in condivisione, carne succosa e pelle saporita, servito con un’insalata di patate novelle, fredda. Viene invece arginato l’uso del pesce ed è per una questione di coerenza territoriale; possono arrivare animali interi, soprattutto selvaggina cotta nel forno turco costruito da Damiano – perché prima ancora di studiarsi l’anatomia dell’animale, vale la pena conoscere quella dell’attrezzatura che userà per prepararlo.

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Quel che suona come modernità di pensiero, altro non è che un ritorno alle origini, a quella capacità di andare oltre una mansione fatta e finita e di applicare il proprio senso pratico a ogni sfera del quotidiano; qui il cuoco è ingranaggio in una ciclicità di per sé già perfetta, a supporto della natura che viene sublimata attraverso il lavoro dell’uomo. Un modello possibile, senza etichette, libero e compatibile alla vita, alla maniera in cui questa evolve. In tutte le sue forme.

 

E ora, nella nostra fotogallery, un’immersione nelle delizie (…e non solo) della Fattoria Sardi e del suo Ristoro.

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