Montagna è picnic: a spasso con Alessandro Gilmozzi

Alessandro Gilmozzi, chef del ristorante El Molin, a Cavalese (Trento) è un uomo di montagna per definizione, cuoco lo è diventato dopo. Lui aveva in mente di diventare falegname e modellare il legno, tanto che ancora lavora personalmente i manici dei coltelli che usa.

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Professionista di rara sensibilità, in silenzio e distante dai riflettori, inizia a utilizzare tecniche di cucina che negli anni sono diventate (anche troppo) di moda, in tempi in cui la vita ‘social’ ancora non esisteva, praticando il foraging prima che il termine fosse acquisito nel linguaggio comune. Del resto, con un nonno micologo e una zia botanica, la strada della conoscenza della materia era certamente meno in salita.

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I boschi di Cavalese sono il terreno di una ricerca che si concretizza in piatti del tutto originali, nei quali è perfetta la sintesi tra silvestre e tecnico, serviti in un contesto unico, ricavato in un edificio seicentesco dall’ultimo dei 48 mulini rimasti nella cittadina trentina. Va da sé che quando gli chiediamo un consiglio su come organizzare il cestino per un picnic in montagna, lui ci aveva già pensato, rendendolo un vero e proprio format all’interno delle sue attività: «Sto organizzando proprio adesso un piccolo evento per una quarantina di americani, li porto a fare foraging e a conoscere il mondo del selvatico».Dotandoli di una merenda che qui si chiama marendòl o holmitòc, in altri termini la versione odierna, ma fedele alla tradizione, del pacchetto che le donne del luogo confezionavano per i mariti boscaioli.

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«L’ho visto fare da mia nonna per suo fratello e il nonno. Si portavano dietro la polenta conzàda, ovvero la polenta del giorno prima arrotolata attorno a una lugànega, la salsiccia, il tutto in un cartoccio di carta oleata. È davvero divertente vedere come la gente reagisce a questa sorta di hot dog, in cui la polenta sostituisce il pane. Se al posto della merenda dovevano garantirsi il pranzo, allora si portavano un barattolino con dentro il caffellatte, dove inzuppavano la patata arostìda, composta da polenta e patate tagliate a julienne e messe in forno come una torta». E poi ancora: «Il pane di segale con un pezzo di speck morbido, da affettare grossolanamente con il coltello che adesso diamo in dotazione con il tagliere di legno e i Kaminwurst appena fatti».

Non può mancare il dessert, quindi formaggio stagionato, formai riserva, e i pomi a tochi, le mele cotte a pezzetti, quelle che sono alla base dello strudel, nel vasetto di vetro. In più ci sono naturalmente anche i frutti rossi. Per quel che concerne le bevande, c’è la tisana fredda di Mas Vinal – un’azienda agricola locale – contenuta in una borraccina di vetro ma, aggiunge Alessandro, «per i più esigenti è previsto anche il Trentodoc». Tutto viene completato da una dotazione ad hoc con zainetto, plaid e calici d’ordinanza.

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Un capitolo a parte, ma di grande importanza e assolutamente imprescindibile, è il tema del rispetto che si deve alla montagna: «Innanzitutto si lascia l’auto negli appositi parcheggi e da lì si prosegue a piedi. Fondamentale, poi, è portare a valle i propri rifiuti: nello zaino c’è un sacchettino biodegradabile nel quale metterli. In più, c’è un piccolo vademecum in cui diamo qualche indicazione di comportamento. Un esempio? Non si strappano mai le gemme se non sai come fare».

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