1°, 2° e 3°: il podio della 50Best era a Identità Milano 2024. Dove Bruno Verjus si è raccontato così…
Disobbediente Bruno Verjus? Senza dubbio alcuno. Anzi, ci verrebbe quasi da affermare che nessuno come il francese possa incarnare, in questa diciannovesima edizione, i concetti che ne hanno ispirato il filo conduttore. La frase del filosofo Erich Fromm, “L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione”, potrebbe quasi essere una didascalia per raccontare alcune scelte di Verjus, una in particolare.
Introducendolo sul palco, Cinzia Benzi non poteva che partire da quel momento cruciale nella storia personale del cuoco francese, che cuoco è diventato solo da pochi anni, tanto da poter essere definito (e da volersi definire lui stesso), “il più anziano dei giovani chef”.
[[ima2]]Questo colto ed energico gentiluomo infatti, nato a Roanne nel 1959, ha dedicato molti anni della sua vita alla professione di critico gastronomico, lavorando per varie testate francesi e per il prestigioso festival parigino Omnivore, oltre che per il suo bellissimo blog Food Intelligence (fermo dal 2017, ma ancora molto divertente da sfogliare). Per cinque anni è stato anche un assiduo collaboratore della Guida di Identità Golose, regalandoci preziose analisi e incisivi racconti sulle tendenze culinarie del suo paese.
Nel 2013, quando aveva 54 anni, annunciò la scelta, del tutto sorprendente, di lasciare il giornalismo per inaugurare il suo ristorante Table a Parigi, in Rue de Prague, vicino alla Gare de Lyon. Ha guadagnato la prima stella Michelin nel febbraio 2018 e la seconda quattro anni dopo.
Anche la scelta di quell’indirizzo, per aprire un ristorante con certe ambizioni, è stata una scelta a suo modo disobbediente: «Il dodicesimo arrondissement è un quartiere molto popolare e i ristoranti che ci si possono trovare non hanno ambizioni stellate. Infatti sono orgoglioso di questa mia scelta controcorrente, della visibilità che ho portato in quell’angolo di Parigi e del fatto che Table è il primo ristorante del nostro quartiere a conquistare due stelle Michelin».
[[ima3]]La disobbedienza più cruciale, nella vita di Bruno Verjus, non è stata contro qualcuno o qualcosa ma «contro me stesso. E’ con se stessi che si devono mettere in atto le rivoluzioni più radicali, se non l’avessi fatto fin da giovane, oggi sarei probabilmente un anziano professore di medicina, perché avrei seguito la strada già iniziata dai miei genitori. Invece ho disobbedito diverse volte: la prima si ha molta paura, poi diventa più semplice».
Anche se la scelta di diventare uno chef, dopo anni da critico gastronomico, e di farlo da autodidatta, è stata una trasgressione molto audace: «In Francia da autodidatta? Non mi viene in mente una disobbedienza più scandalosa! C’è un sentimento di appartenenza al mestiere molto forte nel mio paese: per me invece, il fatto di sentirmi in qualche modo isolato mi ha permesso di esprimermi liberamente. Di fare la cucina che voglio fare, quella che vorrei mangiare, senza curarmi dei premi e dei riconoscimenti. Quello che mi interessa, piuttosto, è il confronto con i miei colleghi».
[[ima4]]I riconoscimenti però, uno in particolare, hanno cambiato la storia di Table. Quando la World’s 50Best ha fatto salire fino al decimo posto il suo ristorante, Bruno Verjus ha visto cambiare il pubblico: «L’impatto della 50Best è davvero notevole, in particolare per quanta clientela straniera attira nel tuo locale. Oggi circa il 70% dei nostri visitatori non sono francesi, soprattutto non sono parigini, il che potrebbe non essere un male dato che tutti gli abitanti di Parigi sono dei severi critici gastronomici!».
Chiacchierando con la nostra Cinzia Benzi sul palco di Identità Milano 2024, Bruno Verjus ha poi ricordato due chef che considera dei punti di riferimento, dei maestri, come Alain Passard («Lo straordinario lavoro che ha fatto sull’uso dei vegetali in cucina è una grande disobbedienza innovativa») e Bernard Pacaud («La sua trasgressione è stata invece rimanere legato alla classicità senza paura di sembrare passatista, lavorando su una cucina immediata»). E ha tracciato una affascinante analogia tra la sua precedente e la sua attuale professione: «Prima raccontavo storie con la mia penna, oggi racconto storie con la cucina, è solo una forma di scrittura diversa».
La sua voce, sempre venata di ironia, ha mostrato invece qualche inflessione commossa quando ha parlato dello spirito di squadra che si respira a Table: «Il nostro menu nasce da un lavoro di squadra, da un confronto continuo tra di noi sui prodotti che arrivano quotidianamente in cucina, così originano le idee per i piatti che proponiamo. L’affiatamento con la squadra si costruisce con il lavoro quotidiano, ma anche con il riposo: per questo il ristorante è aperto solo quattro giorni su sette, con il weekend completamente libero, per tutelare il diritto di chi lavora con me di avere una vita serena. E’ davvero arrivato il momento di lasciarci alle spalle tutte le stupidaggini del passato: il rigore, se non la violenza, della disciplina in cucina, il bullismo, il sessismo. Basta a tutto questo».
[[ima6]]Tra pochi giorni ci sarà la cerimonia in cui verranno svelate le nuove stelle Michelin per la Francia: “spera nella terza?”, ha voluto chiedere Paolo Marchi. Verjus ha sorriso, garantendo che non arriverà nessuna terza stella quest’anno. E chiosando: «Non cucino per la Michelin, non cucino per le stelle. Se lo facessi non potrei produrre nulla di sensato, rimarrei ancorato a un passato che non mi interessa. La cucina, invece, deve essere un modo per dare felicità alle persone. Lo sapete perchè? Perché non esiste disobbedienza più grande della felicità».
Applausi per Bruno Verjus.