MAMM ciclofocacceria e pane: il gusto della contaminazione in una focaccia

Cosa ci fanno un barese, un oste girovago, un cuoco lombardo doc e un maestro panettiere una sera insieme a Milano? Sfornano cose buone e lo fanno letteralmente al Circolino del pane, luogo di incontri, di relazioni, di studio e contaminazioni fortemente voluto da Davide Longoni, maestro panettiere: un punto di ritrovo, una casa aperta nella quale ospitare amici e coltivare sinergie tra chi è mosso dalla medesima passione di fare e fare bene. Cosa? Il pane,sradicando una volta e per sempre quell’idea impolverata del panettiere nottambulo, abbandonato a sè stesso e “un po’ isolato” dal mondo. Qui ci si ritrova attorno a una grande tavola, alla luce del sole, con lo scopo di ammodernare il mondo della panificazione in Italia, «da concorrenti, vale a dire, da chi sceglie di correre insieme», commenta Longoni.

Ci fermiamo anche noi attorno a quella tavola per dare il benvenuto a Roberto Notarnicola e a sua moglie Chiara Campeis, anime di MAMM, la Ciclofocacceria (con panificio) a Udine, per una sera ospiti al Circolino del Pane insieme a Vladimiro Poma, direttore d’orchestra e cuoco della recente apertura firmata dallo chef del Ratanà (a Milano), Cesare Battisti, Silvano vini e cibi.

Ma procediamo per gradi. Quella di Chiara e Roberto è una storia che, come molte altre, affonda le radici nella tradizione familiare, puntando a sud, direzione Gioia del Colle, in Puglia; quella terra che Roberto sente ancora più sua a chilometri e chilometri di distanza, nostalgico di una “sonora” famiglia che ama aggregarsi attorno a un tavolo per onorarlo come si deve. E poi c’è la nonna, la nonna paterna, che portava pane, taralli, biscotti (mai abbastanza cotti) a cuocere nel forno comune del paese, ancora attivo a Gioia.

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Gli studi, però allontano presto Roberto dalle origini, che prima approda a Bologna, dove si iscrive a Economia Aziendale, poi, quando conosce Chiara, punta ancora un pochino più insù, direzione Udine: lavora come consulente nel settore del marketing, ma il ricordo del forno, di quegli aromi così sinceri, di tavole imbandite e del chiacchiericcio intorno al desco, è troppo forte è così le mani iniziano a pensare, i sensi si attivano e le più dolci memorie suggeriscono una nuova via: Roberto nel 2015 mette ufficialmente da parte la carriera e apre con Chiara, a due passi dal Teatro Nuovo Giovanni da Udine, la sua Ciclofocacceria, MAMM, ciclo, come le ruote di focacce baresi disponibili finalmente in quel locale tanto sognato; ciclo come la passione sfegatata per la bicicletta e per quei Giri d’Italia (e non solo) che oggi invita a compiere ai suoi ospiti, a morsi, balzando da una focaccia all’altra.

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Inizialmente erano solo in 3 a mandare avanti l’attività e la proiezione di ciò che quel luogo sarebbe diventato era ancora impercettibile, sfocata a occhio nudo: ma le idee c’erano, ben chiare, a partire dall’intenzione di portare in terra friulana la focaccia, proprio come veniva preparata dalla mamma e dalla nonna di Roberto, ma con una maggiore accortezza alla leggerezza e alla digeribilità; una focaccia lavorata con le farine coltivate a Villa Job, piccola azienda di vignaioli a Zugliano, dove ormai ben tre ettari di campo sono stati destinati a MAMM per la semina di segale (un ettaro) e (per i restanti) un miscuglio evolutivo, con il fine di utilizzare per buona parte degli impasti, grani quanto più autoctoni e farine integrali e semi-integrali locali. Perché il sapore, dopotutto, è solo la naturale “conseguenza” di una materia prima di altissima qualità, la cui reperibilità a sua volta dipende dalla capacità di attenersi in tutto e per tutto a un business plan rigido e ragionato, come commenta Roberto: «Attenersi al food cost, esaminarlo continuamente, è l’unica maniera per rimanere a galla senza mai dover scendere a compromessi sulla qualità del prodotto».

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Missione compiuta, perché oggi MAMM conta ben 20 dipendenti e a pochi passi dalla focacceria, nel 2020, è nato anche un panificio.

Oggi la Ciclofocacceria è diventata punto di riferimento per la città di Udine, per chi frequenta il teatro, per giovani e giovanissimi, tutti attratti da spicchi irresistibili, solitamente composti da 3/4 ingredienti, non di più; 13 varietà si alternano quotidianamente tra pranzo e cena, dalle creazioni più tradizionali, a quelle vegetali – le più complesse (pensiamo alla combo cavolfiore speziato, satay e humus)-, fino a vere e proprie “istituzioni” stagionali, la farcia di melanzane alla parmigiana; poi, tutta la bontà della tradizione locale, dal Friuli con la brovada o la Fricaccia (farcita con il frico di Gortani), al made in Puglia, tra burrate e capocollo di Martina Franca; quindi, quel un senza tempo, la focaccia barese, soffice con una sottile crosticina alla base, dorata, unta, ma non grassa, pomodoro ricco, maturo, succoso.

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Fino a tutte quelle contaminazioni che, invece, trasportano al di là dei confini del Bel Paese, suggerite per esempio dal Far East Film Festival di Udine, tra i più importanti d’Europa, un buono motivo per mettersi sulle tracce di nuovi sapori, per viaggiare e assaggiare, fino al”elaborazione di un menu limited edition 100% Asia.

Ne abbiamo ricevuto un intrigante assaggio qui, al Circolino del pane: un guscio dorato; porzionandolo scrocchia deliziosamente, mentre dentro rimane vaporoso, scioglievole, corposo abbastanza da sostenere la farcia generosa di kimchi, spinto, acceso, maionese al gochujang e una freschissima burrata affumicata.

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Confronto, però non vuol dire solo viaggiare, guardare lontano; a volte quel che basta è fare un passo indietro nella storia e recuperare ciò che per molti sembrava perduto, come perduta sembrava essere  l’insalata savoiarda.

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A introdurla, Vladimiro Poma, un bel misto di Liguria e Milano, oste e cuoco della giovane insegna di NoLo, Silvano, nonché spaccio di prelibatezze cotte al forno a legna – più che una scelta, un’esigenza che, però diventa marchio di fabbrica della cucina di Silvano -: al cuore di questa ricetta il lesso e i suoi avanzi usati in passato come base di una ricchissima insalata di recupero con sottaceti all’italiana – quindi no pickles, che prevedono l’aggiunta di zucchero -, peperoni rossi, peperoni gialli, cetriolini moscatelli, tonno, acciughe e capperi.

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Dopotutto un’unica ricetta non c’è; si va a sentimento, svuotando dispensa e frigorifero, ognuno aggiungendo ciò che ama di più e quel che avanza naturalmente. «Persino io avevo rimosso questa ricetta – non abbiamo mai fatto una savoiarda», commenta Battisti e invece eccola qui, cavalcare una coppa di testa e lingua di vitello tagliate a fette spesse, poggiate sul fondo di una focaccia tipo 1, semi integrale, a cui si aggiunge una tipo 2, più debole per il rinfresco e successivamente il lievito madre; al posto della patata, invece, viene aggiunto olio che dona fragranza e morbidezza.

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Lesso, avanzi, ma il brodo? Viene ridotto fino a ottenere una gelatina densa, tutto collagene, da emulsionare con olio e mosto di vino bianco, creando così una setosa maionese umami. Morso ricco, consistenze stratificate – la carnosità, della testina e del tonno, la croccantezza dei sottaceti, ma anche dell’impasto fragrante, acidità, la sapidità spinta delle acciughe in una focaccia a dir poco memorabile.

Nulla di fisso e di statico: nella vita come in una focaccia è nella contaminazione, in quell’intreccio spontaneo di relazioni che pian piano emergono le identità, forti, ciascuna con una storia, con il proprio retaggio culturale e, quindi, gastronomico; identità che collaborano per dare una nuova forma a ciò che è sempre stato, avanzando da “concorrenti” nel futuro.

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