Packaging senza plastica? Le emissioni calerebbero del 98%
Il 42% della plastica consumata oggi in Italia è utilizzata nel settore del packaging e dell’usa e getta. Si tratta di una percentuale estesa, su cui è focalizzata l’attenzione di istituzioni, associazioni e imprese del settore perché la strada verso un pianeta con meno plastica passa da qui.
Sono diversi gli scenari in discussione per immaginare un mondo sempre più plastic free, a partire dalle direttive dell’Unione Europea sulle plastiche monouso fino alle opzioni di imballaggi ecologici che sempre più aziende scelgono per vendere e distribuire i loro prodotti. Ma qual è l’impatto di queste azioni? Lo descrive il rapporto La plastica in Italia, vizio o virtù realizzato da ECCO – think tank non profit con sede in Italia che si occupa di cambiamento climatico – con il cluster Spring, Greenpeace e le Università di Padova e Milano. Scopriamo quali sono gli scenari individuati dai ricercatori.
Packaging plastic free: quale impatto avrebbe sulle emissioni?
La filiera della plastica ha un concreto impatto sull’ambiente: la produzione di 1 kg di plastica oggi immette in atmosfera circa 1,2 kg di anidride carbonica. Una quantità che cresce e sfiora i 2 kg, se nel computo si includono anche le fasi di estrazione e di raffinazione dei combustibili. Se, inoltre, il kg di plastica non viene riciclato – ma destinato all’incenerimento – si rilasciano altri 3,1 kg di CO2.
Produrre la plastica, prima ancora di arrivare alla fase dello smaltimento, è un problema per il Pianeta. In Europa, infatti, il 99% della plastica vergine viene realizzata a partire da petrolio e gas naturale, mentre i combustibili fossili sono parte fondamentale delle fonti di energia impiegate lungo i processi produttivi.
La decarbonizzazione della filiera della plastica, secondo i curatori del rapporto, è una quindi priorità. Ciò è possibile attraverso uno sforzo in più ambiti: riduzione del consumo di polimeri fossili vergini, riciclo, riutilizzo e aumento dell’utilizzo di bioplastiche ottenute quindi da materie prime vegetali. Oggi, secondo ECCO, il 30% dei rifiuti plastici viene destinato al riciclo e le bioplastiche rappresentano il 6% dei mercato.
Quali prospettive per il futuro? Lo scenario Business as usual
Oltre a raccogliere i dati, il team che ha redatto il report ha tratteggiato due scenari opposti per il 2050 che farebbero seguito a due strategie differenti di far fronte al problema. Il primo scenario è definito business as usual e, alla luce dei dati oggi a disposizione e della letteratura scientifica sull’argomento, si ipotizza che i consumi continuino ad aumentare del 5% ogni sei anni.
Nel 2050, quindi, sul Pianeta verrebbero consumate 7,5 megatonnellate di plastica ogni anno. Contemporaneamente, vista la diffusione delle bioplastiche alla stessa intensità di oggi, si ipotizza che il 50,4% della plastica sia di origine fossile (mentre oggi è oltre l’88%), mentre il 35% deriverebbe da materia prima secondaria e il 14,6% da materie prime vegetali.
La proiezione del fine vita della plastica prevede, infine, che il 70% dei rifiuti plastici post consumo vengano riciclati, parte della bioplastica (il 3,7%) sia destinata al compostaggio, mentre il resto, circa il 26%) sia smaltita nei termovalorizzatori.
Ecco e il team del report hanno calcolato che, in questo scenario, si otterrebbe una riduzione delle emissioni del 9%, con un beneficio limitato per l’ecosistema.
Lo scenario best case: tagliare i consumi per ridurre le emissioni
La seconda strada studiata dal team identifica alcuni cambiamenti più concreti nel consumo di plastica. In primo luogo, si ipotizza l’eliminazione dell’overpackaging, ovvero tutti quegli imballaggi e quelle confezioni che non hanno un’utilità per conservare gli alimenti (e non soltanto). Un esempio è la confezione singola per le uova posizionate poi all’interno delle scatole di cartone, oppure le pellicole di plastica per le singole verdure (zucchine, cetrioli, ecc…) vendute poi all’interno di sacchetti. Si parla di overpackaging anche in riferimento al monouso il cui consumo, secondo il best case scenario, dovrebbe essere ridotto del 50%.
Osservando i parametri, secondo questa proiezione nel 2050 il consumo di plastica sarà di 3,8 megatonnellate ogni anno, circa la metà rispetto al precedente scenario. Il report prosegue immaginando poi che sia possibile, attraverso delle scelte nette della filiera, far sì che tutta la plastica immessa nel mercato italiano sia prodotta da materiale riciclato o bio, e che a fine vita il 7,5% sia avviata al compostaggio e il restante 92,5% al riciclaggio.
Se così fosse, assicurano i curatori del rapporto, entro il 2050 sarebbe possibile ottenere una riduzione delle emissioni legate alla plastica del 98%.
Il futuro del packaging alimentare è sostenibile?
L’analisi del rapporto La plastica in italia, vizio o virtù disegna due strade contrapposte e evidenzia come le scelte che istituzioni e imprese compiono oggi possono fare concretamente la differenza. E molte realtà si sono mosse nella direzione di un packaging più sostenibile, come ci ha confermato Claudio Dall’Agata, direttore generale di Bestack, consorzio forlivese dei produttori di imballaggi innovativi in cartone ondulato per ortofrutta.
La transizione verso una filiera alimentare più green e plastic free è partita, dunque, anche in Italia non senza difficoltà. Gli stessi obblighi imposti per il contenimento del Covid-19 hanno favorito un ritorno della plastica in alcuni frammenti della ristorazione, come la necessità di ricorrere all’utilizzo delle stoviglie monouso.
Gli addetti della filiera evidenziano anche un problema culturale. È vero, come conferma anche il Rapporto Coop sulle abitudini degli italiani, che i consumatori hanno una sensibilità green sempre più marcata e la sostenibilità è un fattore che influenza le scelte. Allo stesso tempo, la produzione di bioplastiche oggi ha dei costi maggiori rispetto alle plastiche da polimeri fossili vergini. Costi che si traducono in prezzi più alti per il consumatore, che deve acquisire una maggiore consapevolezza del valore del packaging e, di conseguenza, del costo di una soluzione più ecologica.
È la stessa difficoltà affrontata dalla grande distribuzione quando, nel 2018, fu introdotto l’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili a pagamento per la frutta e la verdura sfusa. A distanza di alcuni anni, tuttavia gli esperti del think thank evidenziano nel report come, tra le conseguenze, ci sia stata una riduzione dell’utilizzo dei sacchetti per asporto usa e getta. Al contrario, in molti si sono attrezzati in autonomia ed è aumentato l’impiego di sacchetti di stoffa, una soluzione durevole e più ecologica.
Difficile, dunque, identificare quale degli scenari descritti dal report sarà quello reale nel 2050, ma il messaggio è chiaro: perché il Pianeta sia vivibile anche tra qualche decennio, è necessario che scelte concrete e sostenibili avvengano oggi.
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