Bio-ingredienti sostenibili ottenuti dall’olio esausto: l’idea della start up IsusChem

Olio in frittura

     

    Le parole d’ordine per il futuro – e per il presente – sono: riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero. Quattro “R” che riguardano il grosso problema dello smaltimento dei rifiuti, alimentari e non, anche quelli che pensiamo “irrecuperabili”. Uno di questi potrebbe essere l’olio di frittura: quante volte lo abbiamo versato, con troppa leggerezza, nel lavello o in uno scarico, lasciandolo disperdere nell’ambiente? In realtà, gli oli vegetali esausti potrebbero riservare grandi potenzialità, venendo trasformati grazie a un processo di economia circolare in una materia prima rinnovabile, versatile e disponibile a basso costo per l’industria chimica. Questa è l’intuizione alla base di IsusChem, una start up innovativa italiana, nata come spin-off universitario del Dipartimento di Chimica della Federico II di Napoli che ha proprio come obiettivo quello di recuperare oli di scarto e trasformarli in bio-ingredienti sostenibili. Come? Lo vediamo insieme!

    Olio esausto, un problema per l’ambiente

    Ormai la raccolta differenziata fa parte della nostra quotidianità, eppure ci sono alcune buone pratiche che non sono ancora così comuni, o rifiuti che non sappiamo esattamente come e dove smaltire. Ad esempio, è così per i gusci di cozze oppure per l’olio di frittura che finiamo per buttare nello scarico del lavello della cucina, errore da non fare. Ma perché? 

    olio da riciclare

    sumeth c/shutterstock

    Dopo il suo utilizzo, l’olio da cucina subisce un processo di ossidazione, assorbendo le sostanze inquinanti derivanti dalla carbonizzazione dei residui dei cibi che vengono cotti o fritti: di conseguenza, non è più utilizzabile in ambito alimentare per la perdita delle caratteristiche organolettiche (da qui l’espressione “olio esausto”). Purtroppo, l’olio vegetale che usiamo per friggere in cucina, ma anche gli oli di scarto prodotti dalle attività industriali, di ristorazione e di lavorazione di prodotti agricoli come olive o semi oleosi, hanno un impatto negativo sulla salute delle acque e del suolo, diventando un rifiuto altamente inquinante e pericoloso. Basti pensare che un solo litro di olio è sufficiente per contaminare circa 1 milione di litri d’acqua. Non solo: può creare una sorta di “velo” che impedisce l’ossigenazione dell’acqua e la penetrazione in profondità dei raggi solari in bacini idrici, fiumi e mari, con conseguenze devastanti per la flora e la fauna, o se disperso nel sottosuolo, ostacola le radici delle piante nell’assumere le sostanze nutritive di cui ha bisogno. Per non parlare anche del costo economico per i singoli cittadini: se smaltiti nella rete fognaria, gli oli vegetali esausti intasano condutture e depuratori e aumentano il costo di trattamento delle acque reflue.

    Secondo le stime più recenti, in Italia avremmo a che fare con un residuo non utilizzato di olio vegetale esausto pari a più di 280 mila tonnellate, soprattutto sotto forma di residui di fritture:

    • 65 mila tonnellate prodotte dalla ristorazione;
    • 45 mila tonnellate dalle attività commerciali e industriali;
    • 170 mila tonnellate derivanti da consumi domestici nelle abitazioni.

    Ma se invece questi residui di scarto potessero diventare una risorsa preziosa, limitando anche l’impatto ambientale?

    Da un’intuizione una svolta per la chimica verde: la start up IsusChem

    barili di olio da cucina riciclato

    Andri wahyudi/shutterstock

    IsusChem sta per Italian Sustainable Chemistry, ed è una start up nata nel 2018 dall’incontro di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università Federico II di Napoli e giovani imprenditori del territorio che punta tutto sulla green chemistry, ossia una nuova chimica che ha come obiettivo quello di rendere i processi chimici sicuri e sostenibili dal punto di vista ambientale. Come? La risposta è nata dall’osservazione del processo di frittura degli oli vegetali, durante il quale si producono diverse sostanze tra cui l’acido pelargonico, apparentemente inutilizzabile. I ricercatori hanno però notato che una sintesi di questa sostanza poteva essere impiegata nel processo produttivo di inchiostri da stampa offset (il sistema più tradizionale di stampa su carta e cartoncino, che avviene su rulli del tipo indiretto). Secondo lo studio, il 35-40% della formulazione di un inchiostro per la stampa proviene da una materia prima a base vegetale che, tuttavia, per essere prodotta richiede un massiccio consumo suolo, togliendo spazio prezioso per la coltivazione di prodotti destinati all’alimentazione umana. Da qui ecco l’intuizione: perché non riutilizzare l’olio esausto, che in genere verrebbe termodistrutto, trasformandolo in una materia prima più sostenibile, dal punto di vista ambientale, etico ed economico? 

    Bio-ingredienti più sostenibili 

    Olio esausto

    H_Ko/shutterstock

    Con la sede a Caserta, IsusChem ha l’obiettivo di trovare un nuovo modo di produrre, che ponga le sue basi nell’economia circolare e in una chimica sostenibile. Con due tecnologie brevettate, ha così innovato il settore della stampa offset, dei solventi ma anche della cosmesi.

    Trattando dunque oli vegetali di scarto, provenienti dal settore ristorativo, e oli derivanti da colture marginali non alimentari, nei laboratori di IsusChem si realizzano:

    • solventi e diluenti, utilizzati per la produzione di inchiostri offset da stampa, inchiostri offset per packaging alimentare, plastificante green per vernici e idropitture;
    • bio-lubrificanti a bassissimo impatto ambientale che sostituiscono interamente gli attuali prodotti a base fossile non rinnovabile;
    • additivi cosmetici, impiegati in creme per viso, prodotti per capelli e creme solari.

    Come riportano i ricercatori di IsusChem, in genere per creare un inchiostro di “base” bisogna lavorare a 120° e per 4 ore: utilizzando i loro bio-solventi prodotti dalla start up è possibile lavorare a 70° e in 90 minuti, tagliando quindi sia sui tempi di riduzione che sulle temperature. Non solo: si ottiene un risparmio energetico importante e si riducono le emissioni di CO₂. E come riportano sempre i ricercatori, per il processo produttivo di questi bio-ingredienti non ci sono emissioni nocive, non si generano nuovi sottoprodotti e si immettono invece sul mercato prodotti da materiali destinati alla termodistruzione, preservando materie prime fondamentali per le generazioni future.

     

    Ci auguriamo che questo sia un primo passo per una chimica davvero più green ed etica.


    Immagine in evidenza di: Marian Weyo/shutterstock

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