Tommaso Melilli e la sua “Cucina Aperta”
Dalle pagine alle pentole. Dalle cucine di ristoranti, francesi e italiani, alle pubblicazioni editoriali, altrettanto italiane e francesi. Tommaso Melilli è un uomo dall’ingegno multiforme, di cui abbiamo scritto su Identità Golose a metà 2020 per raccontare il libro “I conti con l’oste” (edito da Einaudi), ma anche a ottobre 2023, dopo una bella cena alla Trattoria della Gloria, in via Mario Pichi 5 a Milano, che Melilli guida, da cuoco, insieme ai soci e responsabili di sala e cantina Rocco Galasso e Luca Gennati.
E ne parliamo ancora per ritrovarlo scrittore, questa volta con la casa editrice 66thand2nd, con cui ha da poco pubblicato “Cucina Aperta”. Un libro nuovo, ma che prende spunto da quella che fu la prima prova letteraria di Melilli, “Spaghetti Wars – Journal du front des identités culinaires”, pubblicato in Francia, e in francese, nel 2018.
«Quando scrissi quel libro vivevo e lavoravo in Francia, in un bistrot. Questa piccola casa editrice mi chiese se volevo scrivere qualcosa per loro: come succede con i primi libri, ci misi dentro tutto quello che mi veniva in mente. Poi venne “I conti con l’oste”, progetto nato quando sono tornato in Italia, dopo esserne fuggito nel 2009, rendendomi conto di fare cucina italiana a Parigi, ma di non avere mai lavorato in Italia».
[[ima2]]«”Cucina Aperta” è un libro in buona parte nuovo – spiega Tommaso Melilli – per più di metà è inedito, o diverso, perché molte cose che avevo scritto allora oggi non le condivido nemmeno più! Soprattutto, nel frattempo, ho fatto altre esperienze e mi sono successe cose che mi hanno fatto fare pensieri e ragionamenti nuovi. Quello di cui mi sono accorto però è che dopo aver scritto quel mio primo libro, sono rientrato in Italia e ho smesso di lavorare quotidianamente nelle cucine. Per circa cinque anni, di cui due di Covid, ho fatto altre cose, ho scritto molto, ho fatto eventi, ho fatto un po’ di quelle attività che fanno i cuochi quando non hanno un ristorante. Invece da otto mesi sono tornato a fare la vita da cuoco e quindi, per quanto sia più vecchio e affaticato, mi sento di assomigliare molto di più alla persona che nel 2018 scrisse quelle pagine. Perché il mestiere di cuoco è quello, soprattutto per come piace a me interpretarlo, forse perché è il solo modo in cui sono capace di farlo mio».
Come si può cogliere chiaramente dalle parole dell’autore, “Cucina Aperta” è il libro di un cuoco, più di quanto lo fosse “I conti con l’oste”. Un libro che è soprattutto un taccuino di idee, di riflessioni e di pensieri sulla cucina e intorno alla cucina. Scritto da una persona che, come si legge nella quarta di copertina, pensa che: “Si diventa ristoratori perché non sapevamo cosa fare della nostra vita e continuiamo a non saperlo”.
«Confermo – commenta con noi Melilli – non ho ancora davvero capito come la cucina sia diventata l’attività principale della mia vita. Come dicono le persone adulte che non voglio prendersi la responsabilità di quello che fanno, potrei dire che “è successo”. Ci combatto in qualche modo ogni giorno e continua in parte a sembrarmi strano, perché non sono propriamente un gastronomo, non sono una persona così ossessionata dal gusto e dai temi gastronomici. Mi piace farlo e farlo succedere, mi piace creare la dimensione dell’accoglienza, mi piace lavorare sui piatti e sui loro colori».
Quel che è chiaro ed evidente in questo libro, è proprio questo interesse viscerale per l’atto di cucinare e il continuo ragionare sui molti incroci tra la cucina e la nostra quotidianità, i nostri gusti e le nostre abitudini. E come possano cambiare con il tempo. E’ ad esempio il caso del Minestrone, ricetta a cui è dedicato un capitolo del libro. La cosa non sorprenderà chi conosce il Melilli cuoco, che ha tatuato un minestrone sull’avambraccio e che ha deciso di proporne sempre uno, che cambia in base alle stagioni, nella carta della Trattoria della Gloria.
[[ima3]]«Ho scritto del minestrone semplicemente perché da bambino mi faceva paura e non volevo mangiarlo. Poi sono cresciuto – scherza Melilli – e quella ricetta è diventata un rituale, quello di tagliare le verdure, di farlo ogni giorno. Soprattutto adesso, che ho la fortuna di avere tre persone in brigata con me, potrei dedicarmi solo a dirigere i lavori, o a fare le cose più complicate. Invece c’è qualcosa di profondamente giusto nel continuare a tagliare le verdure tutti i giorni». Nel libro Melilli riflette poi su come nel nostro rapporto con il cibo ci siano scelte, e rifiuti, che hanno significati sociali e culturali, e che anche per questo possono essere ribaltati.
Ma è solo uno dei molti spunti che troviamo su queste pagine: di grande interesse, ad esempio, è il capitolo che l’autore dedica alle ricette. O meglio: alla scrittura delle ricette, presentando una visione affascinante, il “metodo non-prescrittivo”, che vorrebbe affrancarsi, e affrancarci, dall’idea che le ricette debbano essere manuali di montaggio da seguire alla lettera. “Bisognerebbe saper scrivere ricette come si scrivono i romanzi – continuando a citare dal libro – invece di soffrire perché non si può dire tutto, riuscire a non dire delle cose di proposito, per permettere a chi non lo sa di immaginare a modo suo ciò che non si è detto”.
Così come può essere molto utile, soprattutto per chi dall’Italia ne ha solo sentito parlare magari anche in modo impreciso, il capitolo dedicato alla Bistronomie francese, che Melilli ha conosciuto molto da vicino. Ed è intenso, a suo modo commovente, il tributo a Bourdain, con cui si chiude il libro.
“Cucina Aperta” è un’opera intelligente e divertente, con la quale dialogare e qualche volta anche dibattere, mentre la prosa vivace dell’autore porta a spasso i lettori tra i suoi molti pensieri legati alla cucina e alla sua vita da cuoco.