Sull’Aspromonte, nel ristorante giovane dal rapporto qualità/prezzo imbattibile

«Osteria Zero perché siam partiti davvero da zero», investimento al minimo sindacale, recupero della mobilia tra il parentado. C’è coraggio, determinazione e tanta passione in questi splendidi ragazzi, sorridenti, preparati, che nel dicembre 2022 han rotto gli indugi, decidendo di varare quel progetto che cullavano ormai da qualche anno: aprire un ristorante di cucina contemporanea. Però non in una grande città, ma a casa loro.

Casa di tutti loro è Taurianova, piana di Palmi, ai piedi della dorsale che congiunge l’Aspromonte all’altopiano delle Serre, provincia di Reggio Calabria: un luogo non certo semplice e che è stato conosciuto in passato, nel resto d’Italia, più per vecchie faide che per la buona tavola.

Sarebbero applausi a prescindere, dunque. Ma son applausi del tutto meritati perché quelli di Osteria Zero all’entusiasmo aggiungono la competenza, il desiderio di sfruttare appieno le potenzialità straordinarie di una zona che può contare su produzioni agroalimentari d’assoluta eccellenza: «Qui abbiamo prodotti magnifici: siamo a 14 chilometri dalle onde, altrettanti dalla montagna. La stagionalità è lunghissima, c’è tutto in diversi periodi dell’anno, per esempio le melanzane nella piana son mature da marzo, più in alto fino a ottobre. Abbiamo due mari pescosissimi a 20 minuti d’auto, carni pregiate, la biodiversità è pazzesca, intorno possiamo contare su almeno una quarantina di erbe spontanee diverse». Le raccoglie Gianluca Delfino, classe 1988, amico e collaboratore di Osteria Zero: con gli chef sta anche sperimentando preparazioni acetiche basate sulle fermentazioni di specie botaniche autoctone, «abbiamo già realizzato prove per aceti di foglie di ulivo, di cardo mariano, di rosa canina, di mallo di noce…».

È questa la tavolozza di colori – tanti – che illuminano la cucina, regno di Martino Latella e Rocco Bonanno, rispettivamente classe 1990 e 1980 («Sono il “vecchio” della compagnia», dice sorridendo quest’ultimo). «Ci siamo conosciuti per caso undici anni fa», spiegano all’unisono. Erano entrambi studenti universitari, ma raggranellavano qualche soldo lavorando in un locale della zona, l’uno come bartender, l’altro come aiuto cuoco. Lì è nata la scintilla, la voglia di trasformare quella passione per i fornelli in una professione. Poi le strade si erano separate, Bonanno era finito persino a Londra a lavorare al Luciano’s by Luciano di Marco Pierre White («Non sapevo nemmeno chi fosse, poi notai l’attrezzatura con il suo marchio, mi informai. Mi spiegarono che era un mito del settore!»). Si sarebbero ritrovati qualche anno più tardi al Qafiz di Nino Rossi. Dove l’idea di Osteria Zero ha iniziato a prendere forma.

[[ima13]]La loro è una tavola fresca, autentica, ben pensata, sfiziosa, persino colta nell’utilizzo consapevole di tutto il bendidio unico che si abbiamo descritto. «Abbiamo subito voluto puntare su uno stile contemporaneo, ma all’inizio abbiamo un po’ frenato, per farci conoscere, per conquistare la fiducia dei commensali, per abituarli a una proposta un po’ più spinta, cui siamo arrivati poco a poco. Ora avviciniamo più gente possibile a questo tipo di cucina. Cambiamo spesso il menu, lavoriamo tanto col territorio, sulla materia prima dei nostri fornitori». Ci sono passi avanti da fare, «dobbiamo stimolare la creazione di una vera e propria filiera. Per dire: qui intorno ci sono tantissimi cinghiali, i cacciatori li abbattono ma non hanno permessi e strutture che consentano loro di venderceli. Con il paradosso che dobbiamo allora comprare la carne di cinghiale da un allevamento dell’Appennino tosco-emiliano».

La sala è la cantina sono capeggiate da Federica Ferrazzo, moglie di Latella nonché madre di due bambini.

I nostri assaggi son iniziati con una Tartelletta di ceci, zucca, pecorino, prezzemolo e tartufo nero del Pollino e con un Sorbetto di clementine con sarde marinate e finocchietto. A parte, l’ottimo pane (sia integrale che bianco. Ci sono poi chips di ceci, castagne e rosmarino) da condire con l’extravergine (da olive Ottobratica) di un piccolissimo produttore della zona o con il burro del caseificio Il Granatore di Palmi.

Abbiamo proseguito come vedete qui sotto. Spoiler: Triglia, cime di rapa, spuma di arachidi e tartufo nero del Pollino ha una suadenza piena, intensa, con la parte vegetale muscolosa ma l’insieme risulta comunque equilibrato, il pesce non è travolto. Mentre il Cardoncello con latte di mandorle tostate, salsa ponzu e prezzemolo risulta un po’ sottotono, la Tartare di manzo con demi glace calda di verdure è interessantissima, la demi glace conduce a ricordi di gusto antichi e la sua temperatura esalta il sapore della carne, con un intelligente gioco caldo-freddo che avremmo ritrovato da lì a poco negli ottimi Tortelli di piccione, petto di piccione affumicato e chips di cavolo nero. Il Radicchio in agrodolce è spettacolare, acido-amaro-dolce-grasso-croccante, il Gelato alle tre senapi con cavolo rosso lo batte solo per eleganza. Il caprettone è buono, però il piatto che vale il viaggio è Quaglia farcita, fichi secchi, nocciole, fondo di quaglia, verdurine sottaceto, olio alla vaniglia: completo, squisito.

Ultima annotazione: il rapporto qualità/prezzo di Osteria Zero è imbattibile, il menu degustazione costa 50 euro.

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