Perbellini si è messo in Gioco per Gioco

Oggi, venerdì 26 aprile, Giorgio Gioco avrebbe compiuto cent’anni. Nato a Verona, si spense 93enne il 23 febbraio 2019 quando i suoi 12 Apostoli erano già passati alle attenzioni del figlio Antonio. Amava definirsi cuoco e non chef, soprattutto credeva nella tradizione. Per lui doveva esserci corrispondenza tra quanto uno gustava a tavola e cosa trovava una volta uscito e tornato all’aria aperta.

Dallo scorso 5 settembre, l’insegna di sempre è diventata Casa Perbellini 12 Apostoli per l’ingresso di Giancarlo Perbellini che ha portato in dote le due stelle che brillavano sul locale a San Zeno. La creatura dei Gioco

[[ima2]]rientrava nel lotto delle 84 che la Michelin premiò nel 1959, prima edizione stellata in Italia. Arrivò a due, poi di nuovo una, quindi nessuna, infine nuovamente una nel 2019. Ma mancava una vita proiettata sul futuro, le visioni e la forza di sempre. Come ora con Giancarlo che iniziò la gavetta a 18 anni, proprio in vicolo Corticella San Marco.

Alla soglia dei sessanta, è come se le lancette dell’orologio fossero tornare sullo zero per iniziare a contare una nuova epoca, senza scordare la precedente. Dei tre menu degustazione, uno si intitola Io e Giorgio ma per via della ricorrenza centenaria, Giancarlo ha creato A Gioco X Gioco,

[[ima3]]quattro ricette ispirate ad altrettanti ingredienti che il suo mentore amava e il primo ha del sorprendente: la Manzotin. Sì, una delle tre carni in scatola che furoreggiavano nella seconda metà del secolo scorso, assieme con Simmenthal e Montana. Ha spiegato il figlio Antonio: «Papà amava scolpire e produrre oggetti e lo faceva nella casa sul lago di Garda dove si isolava da mattina a sera. Non avendo tempo per cucinarsi qualcosa, apriva un paio di scatolette».

Per questo menu speciale, Perbellini ha curato l’antipasto “Manzotin” oggi, Vincenzo Grillo invece la Zuppa di cipolle, il piatto migliore, Matteo

[[ima4]]Bertoli l’Olio del Garda e Monte Veronese in un tortello, al pasticciere Lorenzo Cibecchini, detto Archy, è toccato invece l’alchermes con in savoiardi in una millefoglie chiamata Torta Italiana. Tutti e quattro loro hanno ripensato il Filetto di manzo all’estragone, già in Io e Giorgio, servito con lattuga croccante.

Mercoledì ho avuto la fortuna sedermi a tavola accanto ad Antonio Gioco, un piacere ascoltarlo anche perché diversi dei personaggi che erano degli habitué lì, lo erano anche a casa dei miei genitori a iniziare da Dino Buzzati: «Si fermava sempre qui quando andava o tornava da Cortina. Un

[[ima5]]giorno papà sentì bussare alla porta, era già tardi per pranzare, ma si trovò davanti Buzzati che gli chiese subito scusa ma era rimasto penalizzato dal traffico, magari aveva avanzato qualcosa. Per mio padre Buzzati era la Cultura con la c maiuscola, lo fece accomodare e andò in cucina. Quando tornò venne invitato a sedersi per tenergli compagnia, a un patto: che la smettesse con il lei e gli desse del tu. Fu l’eccezione, perché come oste doveva dare del lei, non si scappava».

Giorgio Gioco era amato, ma era anche la fotografia di un’epoca: «Nel 1980 o l’81, il Touring Club organizzò a Bordighera un confronto tra

[[ima6]]tradizione e innovazione. Per la prima venne invitato papà che partì da Verona con la sua 131 Mirafiori azzurra. Credeva di essere uno dei pochi che l’aveva di quel colore, però a un certo punto vide nello specchietto sopraggiungerne una uguale e si domandò chi fosse mai. Quando si affiancò vide che era Marchesi, proprio Gualtiero che ci salutò e poi accelerò. La sera finì che i presenti preferirono Gualtiero, c’era voglia di novità e certo non poteva arrivare da papà».

[[ima7]]Un aneddoto: «Per capire quanto fosse attaccato a usi e consumi locali le racconto questo. Un giorno da noi si piazzò in cucina Ave Ninchi che curava con Giro Veronelli una trasmissione alla Rai, A tavola alle 7. A un certo punto, papà girò una frittata che cuoceva in una padella dando un colpo secco al manico. La Ninchi rimase di sale, non l’aveva mai visto fare e così invitò papà in trasmissione a Roma perché tutti gli italiani

[[ima9]]potessero vedere quella frittata roteare in aria. Lui non ha mai volato, quindi macchina anche perché amava fermarsi a ogni autogrill per parlare con chi stava al bancone e sapere come si viveva lì. Bologna… Firenze… quando arrivò al casello della capitale iniziò a dialogare con il casellante che a un certo punto lo invitò ad accostare per aspettarlo. Sarebbe andato a prendere la sua vettura che avrebbe dovuto seguirlo fino a casa perché gli avrebbe offerto un abbacchio perfetto. Ecco, mio padre era questo».

[[ima8]]Quanti ricordi: «Hemingway amava passare in cantina e scegliere cosa avrebbe bevuto, alla cucina il compito di abbinare il cibo giusto, che spesso era un filetto di manzo con sopra rognone e cipolle caramellate. Gianni Brera invece pasteggiava a whisky e non si alzava fino a quando non aveva finito la bottiglia. Un giorno provocò i presenti sostenendo che la Pearà per accompagnare il bollito, una crema di pane vecchio, midollo e tanto pepe, era pavese e che i veronesi l’avevano copiata. Arrivò a dirlo persino una domenica sera in tv, commentando le partite!».

[[ima10]]Due memorie assolute: D’Annunzio e Cesare Marchi. «Il primo teorizzò la psico cucina e ai 12 Apostoli i piatti erano chiari perché il poeta amava fare dei test legati al piacere servendo le stesse preparazioni in piatti chiari e in piatti scuri e regolarmente risultavano più graditi i primi. Non solo: D’Annunzio non ammetteva che olio e condimenti formassero delle croci, ma solo dei cerchi, le croci erano per i lutti. Poi un giorno si ritrovarono a tavola Marchi, Nascimbeni, Montanelli e Biagi, due veronesi, un toscano e un bolognese. Venne servita loro Pasta e fagioli e quattro teste come le

[[ima11]]loro iniziarono una discussione interminabile su come condirla: olio o formaggio? Alla fine la spuntò Montanelli con l’olio, che papà bloccò quando capì che stava versandolo a croce. Sia mai!».

Avrei fatto alba ad ascoltare Antonio. Giusto una nota tutta mia: tutto ottimo, ma la Zuppa di cipolle nella versione di Vincenzo Grillo aveva una marcia in più come Mark Verstappen in gara. Guai non metterla in carta.

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