Identità Inclusive, edizione zero: minimo comune denominatore, passione
Quante emozioni ci ha regalato l’edizione zero di Identità Inclusive, il festival andato in scena lo scorso 10 giugno a San Vito dei Normanni (Brindisi) e che dà valore e voce a chi si impegna a creare un futuro accogliente nella ristorazione dando finalmente dignità a ragazzi con disabilità, e a chiunque si trovi in una situazione socio-familiare svantaggiosa.
Identità inclusive è speranza, forza di volontà, impegno; è voglia di fare e fare bene – questo, dopotutto, è il seme originario dell’iniziativa ideata da Vito Valente, fondatore del ristorante sociale Xfood e Paolo Marchi, cofondatore e curatore di Identità Golose – spostando l’attenzione non solo su chi si impegna a creare qualità, ma sulla qualità stessa dell’offerta di numerose attività ristorative diffuse dal cuore della Puglia, nell’Italia intera.
Qualche esempio?
«Quando ha aperto Virgola, la pasticceria terapeutica guidata da Nicola Di Lena, ex Seta al Mandarin Oriental di Milano, oggi Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, tutti mi raccomandavano di andare a provare quei dolci squisiti, senza mai far menzione della dimensione sociale del progetto. E questo è un grande passo avanti: l’attenzione, infatti, si sofferma sulla capacità di offrire un prodotto eccezionale, tassello cruciale affinché realtà come queste possano sostenersi» commenta così Dario Siciliano, garante per la disabilità del comune di San Vito dei Normanni durante l’avvio ai lavori del festival dalla cornice fascinosa del Castello Dentice di Frasso di Carovigno, a circa 8 km da San Vito.
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Carovigno, dopotutto, non è una scelta casuale dal momento che inclusione vuol dire innanzitutto impegnarsi a fare rete sul territorio, ragion per cui i comuni di Messagne, Carovigno, San Vito dei Normanni, ma anche l’Area Marina Protetta e la Riserva Naturale di Torre Guaceto hanno deciso di unificare la loro progettualità, attuando coesi una vera e propria rivoluzione territoriale.
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A partire dalle iniziative culturali quale è, per esempio, l’avvicinamento alla disabilità sin dalla tenera età, abituando i bambini a comunicare in quella maniera straordinaria di cui solo loro son capaci, senza inibizioni, senza imbarazzo e con una curiosità genuina verso l’altro. Un embrione affinché, poi, sul lungo termine, si approdi a un effettivo abbattimento del concetto stesso di accessibilità.
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Generare azioni, chiedersi cosa poter fare di più, guardare oltre quanto sia già stato fatto. Guardare, per esempio, verso acque limpide, e quel colore che muta a seconda della luce che batte; a ridosso, una macchia selvaggia, verde-oro e quella fauna che silenziosa vive: siamo nell’Area marina protetta e Riserva Naturale di Torre Guaceto, premiata di recente migliore area protetta italiana in tema di accessibilità da parte di persone con disabilità, ed ecco una pedana raggiungere il bagnasciuga, sentieri tracciati per attraversare la bellezza di questa porzione di costa così unica. Potrebbe bastare e, invece, già si intravede il prossimo obiettivo: mettere in condizione il disabile non solo di poter godere dei servizi della Riserva in compagnia dei suoi cari, ma di poterlo fare, compatibilmente alla propria disabilità, anche in completa autonomia. E poi, assicurarsi che non solo la Riserva in sé, ma il suo circondario, le strutture alberghiere, le attività commerciali, insomma il tessuto sociale tutto, prenda parte a una rivoluzione, e da territorio, diventare a tutti gli effetti, destinazione.
E ora entriamo nel cuore di Identità Inclusive: i talk
BUONO E GIUSTO
Ognuno ha il suo passato, e in quel passato, c’è sempre un punto fisso in cui l’evoluzione si innesca fino ad approdare alla versione più attuale di noi stessi. Non c’è bisogno di esternarlo, di condividere ogni traccia del nostro percorso, eppure in alcuni momenti vale la pena concedersi una deroga. Non ha esitato Franco Pepe che, dal palco del TEX, il Teatro dell’Ex-Fadda di San Vito dei Normanni, si racconta: ebbene, prima ancora di diventare l’autore della Margherita Sbagliata, il maestro pizzaiolo che ha attirato gli occhi del mondo sulla piccola Caiazzo, nel casertano, Franco era insegnante di sostegno nelle scuole alberghiere e sono stati proprio i suoi ragazzi, coloro con i quali lavorava, ad averlo affiancato nei primissimi giorni del progetto Pepe in grani. Tanta è la gratitudine che oggi, quella bontà senza interessi, si traduce in plurime forme di inclusione perpetua: includere l’energia che Marco e Martina, due collaboratori, il primo down, la seconda autistica, infondono ogni sera, servizio dopo servizio, o supportare realtà come La Scugnizzeria, per far emergere dal fondo, tutto il buono che esiste oltre le vele di Scampia.
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Una visione che rientra in quel quadro di amore indispensabile che l’uomo è chiamato a offrire, a dispensare, a lasciar fluire quale sana conseguenza del dolore, come ci ha già raccontato Antonio Guida (potete leggerne qui); il coraggio di rispondere a una chiamata, mettendosi a servizio di una causa ben più grande e lucente del solo progetto di rientrare nella propria terra d’origine, e questo ce lo insegna Nicola Di Lena assieme a sua moglie Alessia, impegnati fianco a fianco nel mondo di Virgola.
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Ma inclusione è anche educare alle proprie responsabilità, porre un individuo nella condizione di conoscere e far valere i propri diritti, ed è quello che fa Jessica Rosval – chef del ristorante Al Gatto Verde, Modena – con il supporto dell’associazione AIW Association for the integration of women, fondata dalla sua migliore amica Caroline Caporossi, per le donne immigrate di Modena, rispondendo, inoltre, alla sete di personale nella ristorazione; fino alla creazione di Roots, uno spazio multiculturale, una scuola di cucina e un ristorante; ma ancora di più, un’opportunità di rinascita che trae forza e sapore dalle radici originarie di ciascuna delle donne che ne fanno parte, radici così spesse e profonde da poter abbracciare il domani.
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«Senza mai lasciarsi intimorire dai contorni, dai veleni latenti della propria terra – ce lo dice Floriano Pellegrino, al timone con Isabella Potì della cucina di Bros, a Lecce -, senza mai accontentarsi di un racconto, di uno storytelling che non ci appartiene fino in fondo. Viaggiare, per poi tornare e farlo chiamando a sé chi affogava nelle problematiche più disparate. Tornare per presidiare un territorio, per essere internazionali a casa propria».
DESIGN E BELLEZZA
Bellezza è un concetto vasto, è una forma, è sapore. Bellezza, alle volte, è qualcosa di estremamente superfluo, ma anche ciò che attraversa le nostre mani quotidianamente. La bellezza è la luce e, insieme, è l’ombra dalla quale emerge. Nel linguaggio del design, la bellezza passa attraverso un’interpretazione autentica di ciò che afferriamo quasi senza pensarci, al punto che di un’arancia, nella visione di Bruno Munari, la buccia è contenitore, il bianco uno strato di imbottitura, un cuscinetto, mentre il seme, l’omaggio a chiunque voglia avviare una produzione autonoma di quello stesso frutto. La bellezza consiste nel ritrovarsi in una realtà diametralmente opposta rispetto a quella d’origine e scegliere di conoscerla, restituendo a un luogo, un’identità “corale” e locale. Lo sa bene Sara Mondaini, designer e progettista di Xfood, che da Milano raggiunge la Puglia. Ricorda bene il giorno zero, quando i ragazzi, prima dell’apertura del cantiere, ancora timorosi cominciano ad abbattere il muro, per poi lasciarsi andare in un vero atto liberatorio.
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Ed ecco la ricostruzione, la cenere da cui si rialza in volo la fenice, e la ricerca di una bellezza non canonica, ma vera, spiazzante che nasce da elementi solo apparentemente casuali: tavoli e sedie acquistate in giro per mercatini e affidate a restauratori del territorio; le luminarie disegnate da Sara espressamente per Xfood, le prime da interni, utilizzando un pattern geometrico “pied de poule” diverso dal segno classico più barocco; sono assortite verticalmente, in diagonale, sulla parete della sala di Xfood, e ai loro piedi, un tavolo sociale ottenuto dall’incastro delle prolunghe di tanti tavoli diverse tra loro.
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Spesso la bellezza consiste nel dare ascolto alle pause che il cuore richiede, per comprendere, per non accontentarsi della polverosa superficie delle parole, ma penetrando la loro essenza, dare un nuovo seguito alla propria arte, a quella gioia di «fare piccole cose per tutti, piuttosto che grandi cose per pochi», come afferma Giorgio Di Palma, ceramista di Grottaglie. La bellezza, infine, è commozione e questa volta a ricordarcelo è il designer Davide Groppi, che illumina una scena tenera, avvenuta alla vigilia dell’evento, una scena profonda come l’attesa di due genitori, mentre la figlia Francesca, una ragazza down dalla forza inarrestabile, è ancora in sala, e non vuole lasciare i suoi colleghi: vuole essere lì, vuole sentirsi utile. E lo è, eccome se lo è.
CUCINA E COMUNITÀ
«Quando esiste una storia da raccontare, la retorica diventa superflua», dice bene Paolo Mancinelli, responsabile della comunicazione della Trattoria de Gli Amici a Roma. E Federico Antinori, commis di sala della trattoria, una storia da raccontare ce l’ha. Una storia semplice, di un ragazzo, giovane, giovanissimo, un ragazzo autistico che non ne poteva più di tutti quei contratti a tempo determinato e che, invece, alla Trattoria de Gli amici viene finalmente assunto a tempo indeterminato.
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Ora, Federico non viene assunto perché destinatario di una beneficienza dovuta, «ma perché Federico nel suo lavoro è veramente bravo», osserva la giornalista e moderatrice Felicita Pistilli, che ha condotto l’ultimo panel della giornata, e aggiunge: «bisogna entrare nell’ottica che la società è composta da tanti piccoli pezzi diversi, e ciascuno merita un suo spazio d’espressione». Ecco perché parlare di inclusione, non coincide con l’idea di impegnare i ragazzi per qualche ora e via, parcheggiarli in un centro ed evitare qualsiasi attività che possa condurli a un certo grado di autonomia. Non vuol dire solo prevedere piani di riabilitazione, ma pensare a come immettere questi giovani preziosi nel mondo del lavoro, con tutti i diritti e doveri annessi. Lo ha capito bene Giuseppe Primicerio, fondatore di Orecchiette – La pasta che vorrei, una s.r.l. con ragazzi disabili regolarmente assunti, impegnati nella lavorazione artigianale della pasta fresca che, tra le altre cose, per limitare il consumo del sale iodato, prevede l’uso di acqua di mare distillata.
Azioni concrete, come tutte quelle che Identità Inclusive si è impegnata a raccontare in una densa 24 ore, iniziando a tessere una rete tra modelli di impresa animati tutti da un minimo comune denominatore: costruire un futuro migliore con passione. Puntando in alto, all’eccellenza, al desiderio di non accontentarsi della mediocrità ed è così che diventano indispensabili i tanti Francesca, Stefano, Giuseppe, Antonio, Federico che abbiamo avuto modo di conoscere professionalmente e, soprattutto, umanamente. Lasciando che a poco a poco venga a estinguersi quella che Davide Macchi, fondatore del progetto Pappaluga (ve ne abbiamo parlato qui) ha definito giustamente definito solidarietà collutorio, ovvero «quel tipo di solidarietà per cui ti riempi la bocca, la sciacqui ben bene, ti appaghi sentendo che hai l’alito fresco e acquieti la coscienza». Alla solidarietà collutorio, noi preferiamo le identità. Le identità inclusive.
Spazio alla nostra fotogallery con gli scatti del servizio, oltre che dei deliziosi assaggi dalla cena di gala conclusiva a cura di Franco Pepe, di Pepe in Grani, a Caiazzo (Caserta), Giovanni Ingletti, executive chef di XFood, a San Vito dei Normanni, Jessica Rosval, chef del ristorante Al Gatto Verde e direttrice culinaria di Roots, Modena, Floriano Pellegrino del ristorante Bros, Lecce, Nicola Di Lena, timoniere di Virgola e, ultimo, ma non per ordine di importanza, Antonio Guida, chef del ristorante Seta al Mandarin Oriental. Buonissima la prima!
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