Daniel Canzian, le nuove proposte e l’ottimo Carciofo alla Wellington
La zona di Brera è una delle più belle di Milano e sa offrire anche una proposta di qualità, grazie a ristoranti come quello di Daniel Canzian che ormai è un tutt’uno col quartiere. Storico allievo di Gualtiero Marchesi, Canzian ha ormai una propria cifra stilistica personale che può essere identificata con la sua “alta cucina veneta”. L’idea di fondo è che solo concentrandosi sui territori e sulla propria identità si possono raggiungere grandi traguardi.
Il ristorante è sobrio ed elegante, pensato come una sorta di teatro in cui ogni sera va in scena una nuova perfomance di gusto. Da non perdere la “carrellata” di ritratti di grandi chef che impreziosicono la parete in fondo al locale. Per chi ancora non conoscesse la sua storia, Daniel Canzian è orginario di Conegliano ed è cresciuto tra le colline venete del Prosecco, da una famiglia di “osti” che ha saputo accendere in lui un’autentica passione per la cucina. Fin da giovanissimo viaggia e lavora nelle migliori cucine d’Italia e Francia. Decisivo è stato l’incontro con Gualtiero Marchesi, che lo mette a capo dei ristoranti del suo gruppo nel ruolo di executive chef. Dopo aver ricevuto il premio Pellegrino Artusi come migliore giovane chef, nel 2013 Canzian apre il ristorante che porta il suo nome e che ci delizia ancora oggi.
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Ciò che non è cambiato nel tempo è la sua visione “minimalista”, che elimina il superfluo per far parlare la materia prima. I suoi menu sono basati su semplicità, rispetto della tradizione e stagionalità. L’attenzione al territorio, alla freschezza e alla qualità degli ingredienti emerge anche nella scelta di rifornirsi dai piccoli produttori locali dello storico mercato San Marco, che si svolge ogni lunedì e giovedì, a due passi dal ristorante.
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Insieme alla proposta alla carta, i menu degustazione disponibili al ristorante sono due: l’Iconico, che racchiude i piatti più conosciuti e apprezzati dello chef, e Alta cucina veneta, frutto di dieci anni di studio e ricerca, il punto più alto del suo stile. I piatti di questo menu cambiano quasi quotidianamente per garantire la qualità delle materie prime a seconda della disponibilità locale. Il fil rouge è quello di celebrare la cucina veneta e le radici dello chef con piatti incentrati su ricette di matrice veneziana che si estendono anche alle tradizioni culinarie del Mediterraneo, visto che la città è stata il fulcro di scambi da tutto il mondo.
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Alcuni piatti possiamo dire che siano ormai dei signature: come le Capesante alla Serenissima (2020), specialità tipica della gastronomia veneta che viene ripensata con un’alternanza di note iodate della capasanta, le spinte acidule e fruttate della mela cotogna e sentori d’Oriente. C’è poi il Risotto al limone sugo d’arrosto e liquirizia (2013), dove l’utilizzo del limone in salamoia – tecnica di conservazione marocchina – conferisce una delicata acidità e profondità al piatto, mentre il sugo d’arrosto è l’inserto in chiave antispreco di parti che, altrimenti, andrebbero gettate via. La liquirizia, con la sua aromaticità, bilancia e dà profondità e lunghezza al finale.
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Oltre ai grandi classici, la ricerca continua per seguire il cambio delle stagioni. Tra le nuove proposte primaverili, che ci hanno più convinto, c’è Il carciofo alla Wellington, che richiama una ricetta tradizionale – quella del filetto – ma in chiave veg, risultando quindi più sostenibile. In questo caso la carne perde il ruolo centrale per diventare secondaria: la troveremo come complemento nella salsa che accompagna il carciofo.
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Una seconda novità è la Pescatrice alla Marengo, piatto ispirato a una ricetta tradizionale e storica piemontese caduta in disuso e rievocata dallo chef, che vede protagonista un pesce non usuale, molto piacevole e presente nei nostri mari, servito con un ragù di fave e piselli alla base, champignon primaverili e code di gambero. Il piatto è completato da una doppia salsa a base di crostacei e sugo d’arrosto. Lo chef “veste” con una trama sottile di listarelle di zucchine il filetto per dimostrare, ancora una volta, che il lato artistico è fondamentale nelle sue preparazioni. E non potrebbe che essere così, visto che in Brera hanno sempre trovato casa gli artisti, in cucina e non solo.