Dal barcone al BarConi: a Palermo la prima gelateria gestita da migranti

A Palermo l’abitato che gira intorno al mercato di Ballarò è un caleidoscopio di etnie, un incrocio di lingue e colori, di schiamazzi e canzoni, di sorrisi e lacrime. E dentro quel quartiere dalle mille sfaccettature umane ed economiche, dal 2014 è presente una coraggiosa cittadella dell’inclusione, un progetto di comunità nato per trasformare la diversità in ricchezza per il territorio. E’ così che si è sviluppato Moltivolti, impresa sociale che promuove il cibo come strumento di dialogo tra persone e culture diverse. L’avventura è iniziata con l’omonimo ristorante Moltivolti, caratterizzato da un’attitudine all’accoglienza fuori e dentro i piatti: un abbraccio concreto tra la cucina siciliana e quella proveniente da diversi paesi del Mediterraneo, dal Senegal all’Afghanistan, dalla Tunisia alla Palestina… Chef di Moltivolti è il palermitano Antonio Campo, 35anni, che si è lasciato alle spalle una laurea in architettura per abbracciare il concetto di una cucina senza confini, dove un piatto non è specifico di un Paese ma diventa di tutti. Un’idea di “cucina autentica” che da pochi giorni ha avuto la certezza che sarà replicata a Mazara del Vallo (Tp).

Ma Moltivolti a Palermo non si è fermata al ristorante, allargandosi poi a un bed&breakfast e l’11 giugno 2022 ha inaugurato BarConi, la prima gelateria italiana gestita da migranti. Sì, già il nome è strategico e racchiude “dentro” la filosofia di questa avventura partita per scrollarsi di dosso il passato e costruire un futuro di speranza, autonomia e libertà per chi tutto ciò non lo ha mai avuto.[[ima2]]

«L’idea di BarConi -spiega Giovanni Zinna, uno dei soci fondatori di Moltivolti – è nata durante un viaggio di turismo responsabile in Senegal. Stavamo guardando le barche coloratissime di quei pescatori e ci è venuto spontaneo riflettere sulle carrette del mare che stipano a peso d’oro centinaia di anime perse mettendole a repentaglio tra le insidie del Mediterraneo con l’illusione di farli approdare a una nuova vita. Abbiamo giocato sull’assonanza tra barconi e il cono gelato e abbiamo pensato che potevamo accendere una scintilla di speranza dando un nuovo significato a quella parola carica di disperazione. E così eccoci qui con BarConi a festeggiare i primi 2 anni e il sogno di farlo crescere, magari trasformandolo in un franchising in tutta Italia. Ci piacerebbe essere un seme da far crescere un po’ ovunque». Il supporto tecnico e il gelato è quello di Antonio Cappadonia, uno dei maestri italiani di quest’arte.[[ima3]]

Ma da settembre si studierà e lavorerà perché il progetto diventi completamente autonomo anche nella preparazione della materia prima. C’è un’altra importante sfida vinta con l’apertura di questa gelateria: il recupero di piazzetta Mediterraneo, restituita alla comunità dopo anni di degrado e di incuria. Prima solo rifiuti e detriti, ora ordine, pulizia e murales a raccontare il valore della diversità. C’è anche qualche tavolino esterno perché un gelato si gusta meglio da seduti mentre la gelateria è uno spazio essenziale dai colori delicati, un grande bancone e accanto un laboratorio di pasticceria.

Chi lavora a BarConi ha fatto corsi e stage per essere non un semplice dipendente ma diventare un gestore della struttura. E nei sorrisi che ti accolgono capisci in fretta che dalla disperazione di un barcone si è giunti alla felicità del BarConi. Alagie Malick Ceesay ha 23 anni, è il responsabile della gelateria ed è l’esempio di come il lavoro sia occasione di riscatto non solo economico ma anche sociale: a Palermo è riuscito a diplomarsi ragioniere, ad affittare casa, a coltivare la passione per la fotografia, a farsi tanti amici. Ma non dimentica: «Sono scappato da solo dal Gambia a 16 anni e prima di sbarcare il 30 marzo 2017 a Pozzallo ho viaggiato per lunghi mesi tra difficoltà e violenze. Ho attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Libia e vi assicuro che non è mai stato un viaggio di piacere: non avevo scelta. Io ero affamato di futuro, volevo costruirmelo con lo studio e con le mie forze. Ero solo un ragazzo ma sapevo che quello era il momento per farlo. Non pensavo ai rischi a cui andavo incontro, mi dicevo solo che dovevo farcela. In Gambia per motivi politici solo il 5% di chi lo chiede ottiene il visto per l’Europa, per questo ho pagato 5 volte di più rispetto a un biglietto aereo e ho sfidato la sorte su mezzi di fortuna e poi dalla Libia sul barcone». [[ima4]]

Alagie ricorda di essere stato chiuso in una stanza e picchiato ferocemente in Burkina Faso, di aver visto in Libia uccidere senza un motivo i suoi compagni di viaggio e di aver cavalcato stremato le onde su un barcone con altre 500 persone accalcate prima di toccare terra in Italia. Alagie, come tutti quelli che lavorano nel team di Moltivolti (appartenenti a una ventina di Paesi), indossa una t-shirt nera con una scritta significativa: “la mia terra è dove poggio i miei piedi”. «Come scriveva Cicerone – sottolinea Zinna – , dove sto bene è la mia patria e questo significa che prenderci cura del territorio e dell’altro è il miglior modo per stare meglio tutti. La biodiversità delle culture è l’humus su cui costruiamo le nostre attività, convinti che il migrante non sia un problema da risolvere ma una risorsa per creare una nuova società. E’ sbagliato puntare all’omologazione culturale spronandoli a diventare come noi. Instaureremmo relazioni finte senza farli mai sentire parte della stessa famiglia. A loro dobbiamo lasciare l’autonomia di esprimersi, le differenze diventeranno conoscenza e valore aggiunto per noi».

Alagie prosegue nel racconto: «Quando ho lasciato casa volevo raggiungere la Nigeria per andare a studiare informatica. Sul pullman chiedevo agli altri passeggeri dove stavano dirigendosi, tutti mi indicavano la Libia come meta per poi raggiungere l’Europa. E così ho cambiato idea anch’io: se tutti vogliono andare in Europa, mi dicevo, sarà perché c’è la certezza di un destino migliore per ognuno di noi. Non pensavo all’Italia, il caso mi ha portato qui». E aggiunge: «In quei mesi infernali di viaggio non ho mai pensato di tornare indietro, ero concentrato solo a resistere. Se mi pongo un obiettivo lo voglio centrare, non mi piace arrendermi o tirarmi indietro. Non ho rimpianti né nostalgie, la felicità è fare qualcosa che mi piace. E io la sto facendo a conferma che la vita non è mai una strada a senso unico». Lui oggi è felice, sa gestire il locale e ha imparato a fare i coni che, all’inizio, rappresentavano un’impresa difficile mentre ora, invece, «è ciò che mi diverte di più».

Alla gelateria arrivano anche i turisti che fanno l’immancabile tappa al mercato di Ballarò e poi si fermano qui per chiedere un gelato o anche un buon caffè italiano. Alagie li accoglie, scambia qualche parola e si augura sempre che quel primo gelato sia lo spunto per ritornare. Oggi sono una sessantina i coni venduti ogni giorno, il desiderio è quello di moltiplicarli anche per dar forza e sostegno a un progetto unico in Italia.[[ima5]]

«Abbiamo i gusti classici – sottolinea Alagie– come cioccolato fondente, cioccolato bianco, stracciatella, fiordilatte, nocciola, quelli legati alla Sicilia come pistacchio, mandarino e mandorla, quelli fatti secondo la stagionalità della frutta ed altri particolari come il caramello salato e moltivolti, il simbolo della nostra filosofia». Moltivolti è infatti un gusto “multietnico”, tante culture insieme: c’è il burro di arachidi, ingrediente fondamentale nella preparazione di diverse ricette africane, e c’è il riso soffiato, cereale presente in tutto il mondo, arricchito dal profumo di limone, simbolo del Mediterraneo. Ovviamente io lo provo (abbinato alla stracciatella) ed è meglio di quanto già mi aspettassi a riprova che l’artigianalità trionfa sempre. Glielo dico e il suo sorriso si allarga ancora di più.

«Spesso noi migranti – mi spiega – siamo considerati invisibili e come tali senza diritti, compresi quelli di spostarci, di lavorare, di scegliere dove vivere. Voglio essere un esempio per tanti ragazzi come me e spiegare loro che con il coraggio e la volontà nulla è impossibile. Io ho ritrovato la voglia di sognare, un giorno avrò una famiglia e dei figli che non andranno incontro alle mie sofferenze».

Al bancone della gelateria si alternano anche Christine Essoh, 29 anni, e Leslie Assie Chacou, 24, entrambe della Costa d’Avorio giunte in Italia con l’aereo ma, come spiegano con determinazione, «anche noi siamo migranti, con le stesse difficoltà d’inserimento e integrazione di chi ci arriva con il barcone. La strada è stata in salita, nessuno ti regala qualcosa ma quel qualcosa è ancora più bello se riesci a conquistartelo». Christine in Italia ci è atterrata nel 2013, spinta dalla mamma che voleva darle un futuro: «Avevo 17 anni e puntavo a studiare. Ma al liceo sono rimasta incinta di quello che poi è diventato mio marito e ho mollato la scuola, Oggi ho 3 figli di 8, 6 e 4 anni e questo lavoro è gioia e autonomia. Ho imparato tante cose, la lingua, persino il dialetto. E chissà che tra 10 anni non torni in Costa d’Avorio ad aprire una gelateria tutta mia». La connazionale Leslie sorride, ha un lavoro, amici, una città che la ama e un gelato che la fa impazzire.[[ima6]]

Nel laboratorio contiguo c’è la nigeriana Bridget Nne Odiase, 45 anni, sta preparando biscotti al sesamo con le mandorle, dopo aver sfornato una profumatissima cheesecake che troneggia alle sue spalle. Lavora a fianco di Mara Gorgone, 56 anni, architetto: 2 anni fa ha abbandonato quella professione per diventare pasticciera a Moltivolti. «Mi sento una di loro -spiega-, anch’io ho scelto di ricominciare una nuova vita e l’ho fatto dopo i 50 anni. Avevo bisogno di tornare padrona del mio tempo e di rimettermi alla prova in una nuova sfida. Condivido con loro la speranza del futuro e la libertà del presente. Siamo una famiglia, ci vogliamo molto bene e le diverse provenienze sono il valore aggiunto entrato nelle nostre esistenze. Se dai loro fiducia, si aprono a te anche nel dolore dei ricordi».

E infatti quando, finalmente, i miei occhi entrano rassicuranti in quelli di Bridget tutto diventa più facile: «Sono giunta a Lampedusa 8 anni fa – mi confida -. Ho viaggiato per mesi da sola e di quella traversata sul barcone non parlo perché mi fa ancora stare male. La Nigeria è una terra senza prospettive e io mi sentivo ancora troppo giovane per arrendermi. Cercavo un futuro per me e un aiuto economico per la mia famiglia rimasta là. Ho trovato il coraggio di crederci». Bridget muove le mani con precisione e velocità, quei biscotti prendono forma uno dietro l’altro, sotto lo sguardo attento di Mara: «A Palermo è iniziata la mia rinascita. Ogni giorno per me è un passo nuovo nel futuro. Ho un compagno palermitano, Fabio, che mi ha insegnato come le culture sono un divenire e un insieme di contaminazioni. Per lui ho imparato a cucinare le lasagne con il ragù, mi piacciono tantissimo così come la torta di mele. Lui, invece, va matto per il mio riso con il pollo mentre a Natale alla sua famiglia ho preparato il cous cous con le verdure». E quando le chiedo cosa altro l’ha conquistata del nostro Paese, sorridendo mi risponde: «Adoro la musica italiana, il mio cantante preferito è Vasco Rossi. Del resto anch’io ho avuto una vita spericolata». Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso….[[ima7]]

BarConi, via Benfratelli 7, Palermo www.moltivolti.org

 

 

 

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