Andrea Antonini e Marco Amato: cucina, sala e amicizia

Il rapporto tra sala e cucina è un tema sempre più centrale nelle dinamiche mutevoli della ristorazione. Rigidamente divise dall’impostazione classica post-Escoffier, negli ultimi due decenni questa relazione sta cambiando pelle, in un insieme via via più integrato. È lo spunto di un’intervista dai risvolti interessanti che noi studenti del Master in Comunicazione, Food marketing e Critica enogastronomica del Gambero Rosso di Roma abbiamo avuto la fortuna condurre al ristorante Imàgo dell’Hotel Hassler, storica proprietà della famiglia Wirth.

A finire sui nostri taccuini, le dichiarazioni del maître Marco Amato (classe 1976) e dello chef Andrea Antonini (1991), al lavoro in questo ristorante rispettivamente dal 1999 e dal 2019. Un ristorante che ogni giorno macina coperti grazie al rapporto di due generazioni diverse, gomito a gomito ogni giorno al sesto piano con vista su Trinità dei Monti e Città Eterna.

Quando vi siete incontrati per la prima volta?
Antonini
: «Nel 2018. Venni a mangiare all’Imàgo con due amici, Marco sapeva bene chi ero e che sarei diventato di lì a poco il nuovo executive chef. Quando mi ha portato il conto mi ha detto ‘ci vediamo presto’, con tanto di occhiolino. Nel giro di una settimana eravamo colleghi».

Come furono gli inizi?
Antonini: «Il giorno prima dell’apertura stavamo aspettando insieme l’ascensore. Lui si gira verso di me: ma tu sai cucinare? Sai fare i piatti gourmet? Mi faceva quelle domande perché non mi conosceva, e forse un poco temeva la mia giovane età. Aprimmo e quando vide uscire i piatti per la prima volta si rasserenò».
Amato: «Effettivamente ero un po’ spaventato perché so quanto sia difficile mantenere uno standard alto, figurati per un ragazzo così giovane al debutto. Conoscendolo nel tempo, e vedendo i suoi lavori, mi sono ricreduto all’istante. E non solo io: in questi 5 anni non mi è mai tornato indietro un piatto in cucina».

[[ima2]]È sempre stato tutto rose e fiori?
Antonini: «Naturalmente no. Quando arrivai, in cucina eravamo in 5. I primi 6 mesi sono stati a dir poco folli: il ristorante era sempre pieno ma sentivamo commenti tipo “eh ma è giovane”, “non ce la fa”. Ero molto provato anche dal punto di vista fisico: per 4 mesi iniziavo a lavorare alle 8 e staccavo all’una di notte. Avevo perso più di 10 chili. Inizialmente mi ero imposto in modo forse anche un po’ aggressivo perché avevo paura di essere schiacciato dalle responsabilità e dai miei 27 anni: è stato complicato farsi rispettare. Nel tempo ho imparato ad ammorbidirmi. Oggi in cucina siamo in 16. È tutto molto più organizzato e siamo una famiglia: ci capita spesso di uscire insieme e di prenderci cura l’uno dell’altro.

Qual è il segreto della sintonia?
Antonini: «C’è molta collaborazione tra noi, un fatto non scontato per i nostri pregressi e caratteri. Io credo di essere forte e assertivo, mentre Marco è più tranquillo e abile a farmi riflettere; è una delle poche persone che riesce a farmi ragionare sugli errori. Dopo 5 anni di collaborazione quotidiana, le parole diventano quasi superflue, basta uno sguardo per capirci durante il servizio. Oltre a questo, c’è un forte legame umano: ci confidiamo e confrontiamo anche al di fuori dell’ambito lavorativo, per qualsiasi cosa».
Amato: «C’è grande stima reciproca e un’amicizia consolidata. Soprattutto c’è rispetto, la base di ogni rapporto possibile. Con rispetto e stima, si possono scalare le montagne.

Marco, rispetto a un tempo, oggi si pone tanta enfasi sui cuochi, è giusto secondo lei?
Amato:
«Penso sia giusto attribuire valore alla cucina più di quanto non si facesse un tempo. In passato, l’attenzione era spesso rivolta al ristorante in sé. Oggi, sono i clienti stessi a desiderare di entrare in cucina per esprimere la loro gratitudine e porre domande. È certamente un passo in avanti. Dico sempre che gli chef, in un certo senso, sono simili ai cantautori: creano piatti sulla base delle loro esperienze e emozioni, vissute in determinati momenti della loro vita. È gratificante per tutti noi vedere un interesse crescente attorno allo stile di Andrea».

[[ima3]]Come gestite le divergenze?
Antonini:
«Il confronto aperto, senza tabù, e le decisioni condivise sono elementi importanti nella nostra dinamica di lavoro. Solo attraverso la ricchezza delle differenze riusciamo a tirare fuori il meglio l’uno dall’altro».
Amato: «Con la capacità di ascolto e l’umiltà. Due doti che ho avuto la fortuna di imparare in tutto questo tempi. Anche gli stessi clienti ci insegnano molto. Il fatto stesso che abbiano scelto noi, con tutte le possibilità che hanno ogni giorno, è per noi fonte di grande impegno»

Dove vi vedete tra 10 anni?
Amato: «Ho dedicato tutta la mia vita a questo posto. Vorrei che il ristorante avesse un profilo ancora più internazionale, estendendosi su altri fronti».
Antonini: «Mi vedo sempre a casa mia, nella città che amo e in cui sono cresciuto. Ho viaggiato tanto nella vita, ma niente mi rende più fiero che fare carriera nella mia città».

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