Dagli scarti della melagrana un estratto che fa bene al cuore (e non solo)
Non è prezioso solo per il suo colore rosso rubino, ma anche per le sue importantissime proprietà: stiamo parlando del frutto del melograno, che contiene numerose sostanze benefiche e principi attivi. Tuttavia, di questo alimento – da molti considerato un “superfood” – non vengono ancora del tutto sfruttate le reali potenzialità: la parte non edibile del frutto, infatti, pesa più della metà del totale ed è ricchissima di composti bioattivi, smaltiti o sottoutilizzati.
Recentemente, è stata pubblicata una nuova ricerca condotta dall’Istituto per la Bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e dal Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa, con la collaborazione di una start-up innovativa e di medici dell’ospedale universitario di Parma, che si concentra sugli scarti della melagrana e sulla loro trasformazione in fitocomplessi che offrirebbero numerosi benefici per l’organismo, oltreché ridurre l’impatto ambientale determinato da questi sottoprodotti. In particolare, questo estratto – ottenuto direttamente alla scala produttiva industriale con una tecnologia innovativa che abbatte i costi economici e ambientali – potrebbe essere utile per contrastare l’ipertensione e l’infiammazione, e proteggere così la salute cardiovascolare.
Dello studio, pubblicato su Nutrients, parliamo con Francesco Meneguzzo, ricercatore CNR-IBE.
Il recupero e la valorizzazione dei sottoprodotti della melagrana
Che la melagrana sia un frutto con molteplici proprietà e con un altissimo contenuto di antiossidanti lo si sa da tempo, ed è per questo che negli ultimi anni la richiesta di succo o spremute di questo frutto è aumentata. Ma la filiera genera una quantità di scarti considerevole, soprattutto considerando che l’estrazione del succo genera sottoprodotti non edibili, come bucce e semi, pari al 60% del peso del frutto. Tutte caratteristiche che hanno spinto il gruppo di ricerca in direzione di questo particolare frutto, come spiega Francesco Meneguzzo di Cnr-Ibe: “Innanzitutto, abbiamo scelto la melagrana perché è un prodotto italiano e vogliamo essere a servizio del Paese. Per noi questo è un aspetto importante: prima di andare a lavorare su una pianta tropicale che nasce a 5.000 chilometri da qui, abbiamo pensato che fosse meglio concentrarci su un prodotto di eccellenza coltivato in Italia”. Il melograno, Punica granatum, è una pianta presente in tutto il bacino del Mediterraneo da millenni, al punto da diventare un simbolo nell’arte classica e religiosa.
“Poi, naturalmente, questa scelta ha anche un razionale scientifico”, continua il ricercatore, “in quanto le proprietà riconosciute e attribuite alla melagrana, il frutto del melograno, sono tante. Inoltre, c’è la possibilità di utilizzare e di sfruttare in modo conveniente i sottoprodotti dell’estrazione del succo, con quantità disponibili nel nostro Paese davvero considerevoli. L’altro aspetto è che questi ‘scarti’ contengono ancora la maggior parte dei fitocomplessi, ossia le molecole importanti, che hanno numerosi benefici per il nostro organismo”.
L’importanza della tecnologia: la cavitazione idrodinamica
Come nel caso delle mele, degli agrumi o del pane, anche i sottoprodotti della melagrana sono una risorsa preziosa, che però fino a questo momento non è stata valorizzata. Il problema, secondo il ricercatore, era la mancanza di una tecnica di estrazione adeguata che potesse recuperare in maniera efficiente e ottimale questa materia non edibile, restituendo un prodotto completamente solubile in acqua e sicuro per l’organismo. “La tecnologia di estrazione è fondamentale. Noi abbiamo sviluppato e applicato la cavitazione idrodinamica, che è la tecnologia che permette meglio di qualsiasi altra di estrarre i bio-composti anche da scarti vegetali o da matrici vegetali di qualsiasi tipo, dagli agrumi alle filiere forestali”. Si tratta di un processo economico e veloce per estrarre in acqua, senza altri solventi, composti bioattivi e funzionali. Il risultato è l’estrazione di una grande quantità di bucce e semi di melagrana in sola acqua, a bassa temperatura e in pochi minuti, con un consumo energetico molto limitato, restituendo un prodotto completamente solubile.
Un estratto dagli scarti della melagrana: tutti i benefici
“La tecnologia impiegata è non solo estremamente efficiente” spiega Meneguzzo, “ma consente di aumentare in modo spontaneo, senza l’aggiunta di alcun additivo, la biodisponibilità, che è stato il primo beneficio riscontrato e verificato”. Per biodisponibilità si intende la quantità e la velocità con cui una sostanza – in questo caso un integratore – una volta assunta viene assorbita dall’organismo, a livello intestinale, raggiungendo la circolazione sistemica e acquisendo così la capacità di accedere al suo sito d’azione. Quando viene somministrato per via orale, un integratore viene assorbito attraverso il tratto digestivo: in questo caso, la biodisponibilità è generalmente piuttosto bassa, dal momento che il principio attivo deve superare diversi ostacoli prima di raggiungere l’area in cui deve agire. “Il nostro prodotto ha una biodisponibilità, quindi una bioaccessibilità intestinale, molto elevata” spiega il ricercatore. “Sulla base delle precedenti esperienze con gli agrumi, abbiamo ipotizzato una coniugazione naturale tra la pectina che si trova nella buccia della melagrana e i composti bioattivi, in particolare polifenoli, e tra questi la punicalagina, un ellagitannino precursore dell’acido ellagico. Questa combinazione di pectina e punicalagina determina un’idrosolubilità totale, rendendo altamente biodisponibile il prodotto”.
Ma non finisce qui: “Rispetto alle funzionalità positive, la somministrazione in vivo ha permesso di verificare l’efficacia di questo estratto rispetto all’ipertensione sia in acuto che in cronico, nell’ultimo caso statisticamente indistinguibile dal farmaco di riferimento per trattare questa problematica”. Ha migliorato la disfunzione e ridotto lo spessore dell’endotelio, il tessuto che riveste l’interno dei vasi sanguigni. Inoltre, la somministrazione dell’estratto di melagrana ha dimostrato importanti effetti infiammatori a livello cardiaco: “ha permesso di abbassare il livello di citochine, le molecole responsabili dei processi infiammatori e fibrotici a livello cellulare. L’abbattimento delle citochine comporta un effetto antinfiammatorio importantissimo, che proietta le funzionalità di questo fitocomplesso ottenuto integrale, non soggetto ad alcuna purificazione, molto oltre il solo effetto anti-ipertensivo, che dovrà essere indagato ulteriormente”. Come sottolineato dai ricercatori, questi riscontri suggeriscono la possibilità di sviluppare meccanismi diversi e a più ampio spettro, rispetto alla protezione cardiovascolare.
Infine, prosegue Meneguzzo, “grazie a una ricerca pubblicata l’anno scorso, insieme al Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università Tor Vergata di Roma, incentrata su un estratto analogo ma ottenuto dalla melagrana intera, abbiamo ottenuto in vitro un effetto anti-proliferativo e apoptotico molto importante su linee cellulari di cancro al seno”.
Un prodotto sostenibile e salutare
Questo tipo di ricerca dimostra come gli scarti della lavorazione di prodotti vegetali, come la melagrana, siano ricchi di sostanze per la salute. Ma non solo, rappresenta anche un valore aggiunto in un’ottica di una maggiore sostenibilità e recupero dei sottoprodotti vegetali. “La filiera del melograno ha un forte carico ambientale perché si producono tantissimi scarti, che poi vanno smaltiti con un enorme costo per le aziende. E invece questa materia può diventare una risorsa importantissima, forse più importante del succo” specifica Meneguzzo.
“La chiave di tutto è la tecnologia, in questo caso una tecnica ecologica, efficiente e scalabile: in venti minuti si ottiene il prodotto, con un abbattimento formidabile dei costi dell’energia. Economicamente non è nemmeno comparabile ad altre tecnologie esistenti. Non solo, consente anche di ottenere composti qualitativamente diversi, più solubili, più biodisponibili e più ricchi di sostanze”. Come racconta il ricercatore, si tratta di un caso pronto per essere applicato a livello industriale per la realizzazione di prodotti per la funzionalizzazione di altri alimenti e di integratori nutraceutici (di cui si è verificata la non tossicità e la totale sicurezza), con costi però sostenibili. “Se si vuole recuperare una materia di scarto, di qualsiasi tipo, bisogna avere una tecnologia che permetta di riutilizzare questa materia in maniera efficiente e conveniente, dal punto di vista economico e ambientale. Perché se riciclare costa di più e ha un maggiore impatto ambientale, qual è il senso?” conclude.
Per il futuro, quindi, la speranza è quella di poter vedere applicata questa tecnologia a livello industriale. Intanto, proseguono le ricerche sugli effetti benefici di questo tipo di sottoprodotti che rappresentano un’interessante opportunità per valorizzare questa filiera, da una parte alleviando sia il peso ambientale che economico dello smaltimento dei sottoprodotti, dall’altra contribuendo alla salute pubblica del Paese.
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