Esportazione dei prodotti tipici: il bilancio dopo le festività 2023 e la concorrenza per le nostre eccellenze
Oggi entriamo dietro le quinte dell’import-export agroalimentare, italiano e non solo, a partire da un bilancio del periodo natalizio, fondamentale per il commercio dei prodotti del comparto food, soprattutto per le specialità Made in Italy che caratterizzano le Feste. Come una sorta di indicatore, infatti, fornisce preziose informazioni sullo stato del mercato e sul possibile andamento dei mesi seguenti, anche perché in questo contesto, le esportazioni verso l’estero e le importazioni da altri Paesi costituiscono una parte importante delle vendite. Com’è andato il Natale 2023 per le eccellenze nostrane e quali sono i loro diretti concorrenti europei sul piano commerciale?
Per saperne di più sulla situazione delle esportazioni all’estero riportiamo anche le riflessioni di Rubén Barcala Gené, rappresentante e importatore in molti Paesi dell’America centrale e meridionale. Grazie alle sue testimonianze, raccolte lo scorso anno, capiremo meglio quali caratteristiche determinano la diffusione e il successo commerciale dei prodotti in America latina, confrontando realtà e mercati diversi.
Natale 2023: numeri confortanti per le esportazioni Made in Italy
Secondo le rilevazioni di ISTAT-Coldiretti, le festività natalizie 2023 hanno fatto registrare un record dell’export italiano sulle tavole di tutto il mondo. A trainare questo importante mercato sono soprattutto vini, liquori, panettoni e pandori, formaggi e salumi, che nel periodo tra Natale e Capodanno 2024 hanno raggiunto un valore di 5,3 miliardi di euro, con aumento del 6% rispetto all’anno scorso. In particolare, a crescere sono state le esportazioni di tutti i prodotti più tipici delle feste: spumanti (+3%), Prosecco (+4%), panettoni (+8%) – la cui diffusione nei mesi scorsi ha fatto nascere molte polemiche in Inghilterra e non solo – ma anche paste ripiene come tortellini e cappelletti (+6%), formaggi (+14%) e salumi, prosciutti e cotechini (+14%). Interessante, infine, l’exploit del caviale italiano, che si distingue per una crescita sui mercati internazionali del +23%.
Partendo da questa panoramica, Coldiretti ha sottolineato la capacità di resilienza del settore, che è riuscito a superare la crisi imposta dalla pandemia, fino a raggiungere il massimo storico nelle esportazioni, con un valore complessivo di 64 miliardi nell’arco del 2023.
L’export dei vini e i trend che stanno emergendo
A spiccare è l’espansione della spumantistica nazionale rispetto alla concorrenza francese. Secondo le rilevazioni, infatti, nel mondo sono state stappate 936 milioni di bottiglie di spumante italiano, per un valore di 2,2 miliardi di euro, altra vetta mai raggiunta in passato. Sul piano numerico, si tratta di più del triplo di quelle di Champagne, scese a 300 milioni ma sempre forti di un prezzo di mercato in media decisamente superiore rispetto alla concorrenza italiana. Circa il 70% dello spumante prodotto in Italia viene esportato e si prevede che il miliardo di bottiglie sarà superato il prossimo anno.
Se nel mercato interno italiano gli acquisti di spumanti si stanno spostando verso prodotti più economici – metodo charmat anche varietali e di annata, come risposta alle difficoltà economiche – per le esportazioni resiste maggiormente la domanda anche per le Doc e le bottiglie metodo classico più costose. Nell’ultimo decennio, le vendite negli USA (top buyer per le nostre bollicine) sono triplicate, con crescite in valore del 351%. Un’espansione che ha avuto luogo anche nel Regno Unito (+350%), in Germania (+42%), Francia (+416%) e nell’Europa dell’Est, un mercato emergente dove la Polonia svetta con un +983%. Prima delle festività natalizie e nel corso del 2023, tuttavia, si sono registrate anche frenate e andamenti altalenanti: nel complesso, ad ogni modo, è cresciuta la domanda nell’Unione Europea rispetto ai mercati extracomunitari.
Il falso Made in Italy continua a danneggiare l’export italiano
Se da un lato le esportazioni italiane si affermano, con un interesse crescente anche per i prodotti regionali meno conosciuti, dall’altro permane il peso economico del falso Made in Italy, che vale ben 120 miliardi di euro. Secondo le stime di Coldiretti, esistono 2 imitazioni per ogni prodotto originale italiano: l’Italian sounding interessa tutti i continenti e colpisce varie tipologie di generi alimentari. In cima alla classifica delle denominazioni nazionali più danneggiate ci sono le Dop di maggiore popolarità all’estero, a partire da Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone, Asiago, Prosciutto di Parma, San Daniele e Pomodoro San Marzano. Parlando di vini, invece, il Prosecco e il Chianti sono i più imitati, sempre sfruttando nomi di fantasia che richiamano quelli originali.
Nel contesto di questa voglia di Italia, che all’estero spesso viene indirizzata verso il falso Made in Italy, a destare preoccupazioni attualmente sono gli accordi internazionali dell’Unione Europea, in particolare quelli con il Mercosur (mercato comune dell’America meridionale), dove le imitazioni sono molto diffuse e sostanzialmente indiscriminate. In Brasile, ad esempio, diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione “Prosecco” nell’ambito dell’accordo tra UE e Stati del Mercosur. Secondo il presidente Coldiretti Ettore Prandini, “se dagli accordi venisse un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale, il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore.”
Il mercato sudamericano e la competizione con altre produzioni europee
Il mondo delle esportazioni è complesso e molto differenziato, in base alle diverse aree del mondo, alle situazioni socio-economiche e alle diverse abitudini alimentari che si incontrano. Di conseguenza, prodotti blasonati e ampiamente conosciuti – come alcune delle nostre eccellenze – possono non avere ovunque lo stesso successo commerciale: anzi, in alcuni casi cedono il passo ad altre produzioni, europee e non solo.
Rubén Barcala Gené vive in Messico ed è un rappresentante di produttori dalla Spagna e dalla Francia. La sua esperienza può aiutarci a comprendere le dinamiche del mercato e la competizione che le produzioni italiane devono affrontare per affermarsi in America latina e in alcuni dei Paesi che fanno parte del Mercosur. “Svolgo la mia attività in Messico, Repubblica Dominicana, Panama, Colombia, Perù, Cile, Uruguay, Paraguay e Argentina, mentre in Ecuador e Venezuela opero in base a specifiche richieste di prodotti e faccio formazione a professionisti del settore alimentare. In passato sono stato importatore diretto, ma dopo la pandemia ho trovato più conveniente concentrarmi sulla vendita, appoggiandomi a un importatore puro per l’import e lo stoccaggio della merce. In ordine di valore per il mio business, tratto prosciutti crudi spagnoli – Serrano e Ibérico – che rappresentano una parte preminente del mio commercio, seguono poi formaggi, purea di frutta, dolci e dessert surgelati francesi, per concludere con il foie gras e altri prodotti a base di carne di anatra e oca sempre dalla Francia. Tra i formaggi, al momento vendo pecorino Manchego stagionato e semistagionato, Ibérico, Queso Mahón-Menorca e San Simón da Costa dalla Spagna, mentre dalla Francia Camembert, Brie, Morbier e Comté. Rappresento produttori di queste merci e il Messico – secondo colosso sudamericano dopo il Brasile – è il mio principale bacino di vendita”.
Export in America latina: quali aspetti determinano la possibilità di vendita e il successo dei prodotti?
In America latina, specialmente nel mercato dei prosciutti, le vendite delle produzioni spagnole spesso surclassano quelle del Made in Italy, perlomeno in termini quantitativi, una circostanza dettata dal legame culturale di questi Paesi con la Spagna ma anche da altri fattori. La presenza dei prodotti italiani, comunque, è rilevante e ha buone prospettive di crescita. “A breve ho in programma di inserire formaggi come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano e il Pecorino Sardo. Sto valutando se trattare anche prosciutti italiani, in particolare Parma e San Daniele, ma al momento i prezzi sono troppo alti se confrontati con quelli della concorrenza spagnola. Finora, mi sono concentrato sui prodotti francesi e spagnoli per tre ragioni.
- Logistica. I prodotti iberici e transalpini beneficiano di un vantaggio dettato dalla maggiore vicinanza tra i centri di produzione e i porti di partenza verso l’America latina. In questo modo è più agevole organizzare e comporre i container per le spedizioni. In Italia, invece, questo aspetto è più complicato.
- Vita utile dei prodotti. Solo i prodotti con una lunga shelf-life sono adatti ai lunghi viaggi e all’esportazione in Sud America, mentre non è lo stesso per quelli con una vita utile più breve.
- Costi. Il prezzo dei prodotti italiani in media è superiore rispetto ai concorrenti spagnoli. Il prezzo di un prosciutto di Parma o San Daniele, ad esempio, è paragonabile a quello di un Ibérico di qualità, ma all’assaggio in America latina si tende a preferire questa seconda opzione”.
Andamento delle vendite e prospettive per i prodotti italiani
Negli ultimi anni, prosegue Rubén Barcala Gené, “non c’è stato un cambiamento molto significativo nelle vendite, si è comunque registrato un leggero ma costante aumento di interesse per i prodotti europei. In Latinoamerica, in generale, le preferenze dei consumatori si orientano verso prodotti poco stagionati e dal gusto mediamente delicato, ma esiste comunque un mercato per i prodotti più stagionati, pur essendo più piccolo. Tra i Paesi latinoamericani il gusto e l’offerta commerciale sono più o meno gli stessi. In Argentina e Uruguay le preferenze si avvicinano maggiormente a quelle europee, per tradizione e legame storico-culturale, mentre nell’America settentrionale e centrale è più netta la predilezione per brevi stagionature e gusti non troppo forti”.
Per i prodotti italiani, quindi, “c’è spazio di crescita e la richiesta è sempre importante, anche se spesso si concentra su Parmigiano Reggiano e Grana Padano, anche perché la concorrenza è minore rispetto ad altre merci. Diverso è il caso dei prosciutti: oltre a quelli spagnoli, che sono i principali competitor commerciali in termini di qualità, nel mercato sono presenti anche prodotti a basso prezzo dagli Stati Uniti, da aziende con ascendenze italo-americane. Anche la qualità è diversa, ma puntando sul prezzo riescono comunque a occupare importanti fasce di vendita. Per altri prodotti che io non tratto esiste un mercato molto rilevante, pensiamo ad esempio alla pasta, all’olio d’oliva e ai pomodori pelati. Al di là dei prezzi, in generale, i prodotti italiani sono molto graditi in America latina”.
Come abbiamo visto, a livello globale i prodotti alimentari si sfidano da un lato sulla qualità e sul gradimento dei consumatori, e dall’altro sul prezzo più basso. Anche se la globalizzazione si riflette più o meno ovunque, nelle diverse realtà nazionali e locali i mercati si differenziano molto per specificità culturali e socio-economiche.
Per le ragioni che abbiamo indagato, ad ogni modo, in tutti i mercati continueranno a esserci grandi opportunità per produzioni estere, e sicuramente i prodotti agroalimentari italiani, grazie alla loro qualità e tradizione rivendicati in queste settimane anche dalla protesta dei trattori, hanno le potenzialità per estendere la loro diffusione nel mondo.
Immagine in evidenza di: Africa Studio/shutterstock.com
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