Il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio, dove vengono conservate piante officinali e frutti dimenticati
C’è un luogo magico tra le colline della Valle del Senio, lungo la Vena del Gesso Romagnola: è Casola Valsenio, un piccolo paesino in provincia di Ravenna di neanche 2.700 abitanti conosciuto come il “Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati”. E non a caso, perché il nome gli è valso per un’oasi verde che si trova ad appena un chilometro dal centro di questo paesino, il Giardino delle Erbe Augusto Rinaldi Ceroni. Ecomuseo, spazio di ricerca e di didattica, terreno di produzione agricola, o ancora “un libro aperto sulla pagina della natura, che si può sfogliare in qualsiasi momento”, come lo descriveva il suo fondatore, dove tantissime specie di erbe officinali e aromatiche vengono ancora oggi conservate, studiate, valorizzate e divulgate.
Di che cos’è questo luogo, della sua storia antica e della importanza per il territorio ne abbiamo parlato con Sauro Biffi, direttore del Giardino.
Il Giardino delle erbe, ecomuseo lungo la Vena del Gesso Romagnola
Oggi il Giardino occupa quattro ettari di terreno, ed è una mostra permanente di piante officinali e aromatiche, proprietà del sito è la Regione Emilia-Romagna che ha affidato le gestione all’ente Parco della Vena del Gesso Romagnola, con la collaborazione della società Montana Valle del Senio e del Comune di Casola. Inaugurato nel 1975 dal professor Augusto Rinaldi Cerone, in realtà ha una storia ben più antica.
“Dobbiamo tornare indietro nel ‘38 – inizia a spiegare il direttore – quando Rinaldi Cerone era diventato preside delle Scuole di avviamento a indirizzo Agrario di Casola. Il suo obiettivo era insegnare ai ragazzi la coltivazione delle piante officinali e aromatiche, essendo Casola un centro di raccolta spontanea e lavorazione molto importante nel territorio”. Diede avvio, quindi, a veri e propri esperimenti sul campo, facendosi concedere dal Comune l’uso del terreno adiacente alla scuola. “Immaginate, erano anni di grande difficoltà e di esodo dalle campagne, iniziato già alla fine dell’800 e peggiorato dopo la Prima guerra mondiale. L’idea di Ceroni era di trasmettere questo sapere e di garantire un’entrata, perché queste piante – come ginepro, camomilla, bardana, cipresso, e tantissime altre specie – potevano rappresentare per le famiglie locali una fonte di reddito secondaria”.
Come racconta il direttore, per Rinaldi Ceroni era fondamentale investire sui giovani e sulla scuola per innescare un cambiamento positivo. “Era difficile cambiare la mentalità degli anziani, per questo voleva richiamare il più possibile i ragazzi all’istruzione per migliorare la salute del territorio e allo stesso tempo, essendo una zona a vocazione agricola, insegnare la coltivazione di questa tipologia di piante”. Il progetto è stato poi sospeso con l’arrivo della Seconda guerra mondiale e ripreso nel dopoguerra, con anche il coinvolgimento delle autorità non solo scolastiche, al punto che negli anni ‘60 i campetti messi a disposizione dietro alla scuola erano troppo piccoli: “C’era bisogno di più spazio, e così Rinaldi Ceroni riuscì ad avere il permesso per un appezzamento di terreno di 4 ettari lontano dalla scuola per l’ampliamento dei campi sperimentali, ed è il luogo in cui ci troviamo ancora oggi”.
Un luogo di conservazione delle specie botaniche, di studio e di didattica
Nel corso degli anni, il campo catalogo delle piante coltivate è aumentato: oggi vi si coltivano più di 500 specie diverse di piante officinali autoctone e non, erbacee, suffruticose, arboree, che si alternano durante l’anno e seguono le stagioni. Il Giardino delle Erbe è quindi “un luogo di conservazione delle specie, di studio, di osservazione e di didattica”. Si tratta di una struttura sempre aperta al pubblico, in senso letterale: “A differenza di giardini e orti botanici, specie quelli universitari che per loro conformazione devono essere recintati, è un giardino aperto: non ci sono barriere e recinti, per volontà del fondatore. L’accesso è sempre consentito, a qualsiasi ora del giorno e dell’anno, per stimolare l’interesse da parte del pubblico”.
Un aspetto curioso e interessante di questo luogo, come altri due elementi. Il primo, spiega Biffi, consiste nel fatto che il Giardino è suddiviso in gradoni: “Ci troviamo in collina, con un terreno fortemente in pendenza. I terrazzamenti, oltre a facilitare la coltivazione e gli interventi, ci hanno permesso di dividere le piante per interesse tematico, quindi di creare zone per le piante officinali, medicinali e velenose, per le cosmesi, per la cucina e la ristorazione, per le piante mellifere. A questo proposito, stiamo creando uno spazio più ampio per assicurare una maggiore interazione tra piante, insetti e uccelli, in un’ottica di conservazione e mantenimento della biodiversità. In questo ambito il Giardino è un grande ‘pascolo’ per innumerevoli specie di insetti”.
L’altra caratteristica sta nel fatto che le piante sono coltivate a filari. “Negli orti botanici, a causa degli spazi ridotti, di solito c’è un esemplare o pochi esemplari per specie, mentre invece qui trovate filari dove si possono avere dai 20 mq ai 200-300 mq per specie. Questo perché vogliamo insegnare a chi volesse coltivare queste specie la coltivazione a filare su larga scala, come si può meccanizzare, come si può fare il trapianto a macchina e così via”.
L’importanza delle piante aromatiche, dal campo alla tavola
Rosmarino, timo, origano, menta, santoreggia, salvia… anzi, sarebbe meglio dire le piante di menta, le “santoregge” o le salvie, al plurale, perché nel Giardino vengono coltivate varietà differenti di ciascuna specie.
“Già negli anni ‘50 Rinaldi Cerone vedeva le piante aromatiche come una grande possibilità per la cultura e la salute stessa del territorio. Già in quegli anni, durante alcuni eventi e con il supporto dei ristoratori locali, propose i primi esperimenti di piatti a base di erbe in cui queste erano usate soprattutto per aromatizzare. Ma i tempi erano troppo giovani e ancora non si capiva l’importanza di questo progetto. Negli anni ‘80, grazie anche alla figlia di un ristoratore della zona, iniziò a studiare le prime ricette vere e proprie con le erbe, e dopo un anno e mezzo di prove proposero alcuni menù”.
In pochi mesi ci fu un’esplosione di interesse da parte dei ristoratori e della popolazione, racconta il direttore: “Possiamo dire che di lì partì il concetto di cucina in cui le erbe trovano spazio, non solo migliorando il sapore di molti cibi, ma meritando di essere protagoniste di un piatto. Dalla santoreggia alla maggiorana, dalla rucola al finocchio, fino all’atreplice e all’acetosa e acetosella, la silene o gli strigoli… sono tutte piante che fino a quegli anni, nella tradizione popolare, rappresentavano miseria: si ricorreva alle erbe solo quando non c’era altro da mangiare, mentre la ricchezza era rappresentata dalla carne. Questa è stata la sfida e la difficoltà negli anni ‘70-’80, lanciare una cucina che valorizzasse invece le erbe e vincere questa mentalità”.
Un grosso lavoro è stato fatto proprio con aziende, che hanno permesso di divulgare questa cultura iniziando la coltivazione di erbe aromatiche in tutto il territorio, e con ristoratori locali. “Abbiamo cercato – riprende a raccontare il direttore Biffi – di incentivare i ristoratori delle zone delle vallate del Lamone, del Senio, del Santerno, fino ad arrivare a Faenza e Imola, a conoscere queste piante e le loro potenzialità in cucina, invogliando loro a creare vicino o all’interno del locale uno spazio dedicato alla loro coltivazione. Il Giardino ha regalato tantissime piante, e sono state insegnate loro le tecniche per coltivarle. Oggi è quasi scontato trovare nei ristoranti un giardino o un piccolo orto, ma all’epoca non era così. Un altro lavoro è stato quello, negli anni ‘90, di coinvolgere gli istituti alberghieri delle zone, facendo nascere corsi di studio dedicati alle erbe aromatiche e officinali. Non è stato un percorso facile, tante volte da ragazzo mi dicevano ‘ragazzo, lassa stèr’, cioè di lasciare perdere, perché pensavano che si trattasse solo di una moda passeggera. Invece la lungimiranza di Rinaldi Cerone ha fatto sì che oggi le erbe abbiano acquisito la loro importanza e dignità. E anche i frutti dimenticati!”.
La Festa dei frutti dimenticati
All’interno del Giardino, un ettaro di terreno è dedicato a un arboreto davvero speciale. “Coltiviamo anche i cosiddetti ‘frutti dimenticati’ come il gelso, la corniola, il prugnolo, la pera volpina, oppure bacche quali more, lamponi, ribes, uva spina. Con questa produzione facciamo anche miscugli e miscele aromatiche, confetture, preparati per tisane e altre confezioni artigianali che vengono realizzate da noi internamente e proposte al pubblico nell’emporio posto nell’area di ingresso del Giardino”.
Un momento importante è quello della Festa dei frutti dimenticati: il secondo e il terzo fine settimana di ottobre le aziende agricole di Casola Valsenio espongono e vendono nel centro storico i frutti eduli un tempo coltivati o raccolti nei boschi e nei campi per uso alimentare. “Questo evento è un momento di conoscenza, divulgazione e mercato di questi prodotti. Il frutto del corniolo, ad esempio, ha un sapore acidulo ed è interessante per realizzare liquori, confetture e salse, ma anche per aromatizzare la carne. O ancora l’azzeruolo, che ricorda una piccola mela, è perfetto per aromatizzare le insalate. La caratteristica che accomuna questi frutti è che diventano gradevoli al palato quando sono avanti con la maturazione, quindi ‘brutti” da vedere: quando sono ‘belli’, sodi e croccanti, non sono sempre mangiabili. Forse è per questo che, col tempo, sono stati dimenticati, insieme al fatto che spesso sono frutti spinosi, difficilmente trattabili”. Un frutto da noi completamente ignorato è l’olivello spinoso, molto comune nei Paesi del Nord Europa, come abbiamo visto nell ’approfondimento sui superfood nordici: “Sono piccole bacche dal sapore aspro, ricchissime di vitamina C, che solo adesso iniziano a essere riscoperte”, spiega il direttore e cita altri frutti, come la rosa canina e la mela rosa, che meritano di essere conosciuti.
Durante la Festa, è possibile partecipare a laboratori di degustazione, assistere alla preparazione di dolci con i frutti dimenticati, partecipare ai concorsi delle marmellate e dei liquori: “Proprio nell’ottica di valorizzare questi frutti è nato tanti anni fa questo concorso, in cui chiunque può partecipare portando un proprio prodotto. Insomma, è un modo per sensibilizzare le persone coinvolgendole e facendole divertire”.
Conservare piante è fondamentale per divulgare una cultura, conclude il direttore: il Giardino delle Erbe per tanto tempo è stato un punto di riferimento per altre realtà e aziende che, negli anni, hanno carpito queste informazioni e le hanno replicate sul proprio territorio. Un luogo, come abbiamo visto, che ha avuto un forte impatto su Casola Valsenio e non solo, coinvolgendo studenti, Istituti di ricerca, Università, erboristi, agricoltori, appassionati e curiosi a livello locale, nazionale e internazionale. “Basta pensare al fatto che tantissime persone a Casola, se devono piantare un albero in giardino, invece di optare per una betulla o un altro albero comune, piantano un sorbo, un giuggiolo, un corbezzolo o un nespolo, per evidenziare la tipicità di questo territorio. Non ci sono giardini che non abbiano un albero da frutto dimenticato, qui”.
Sareste curiosi di visitare questo Giardino e assaggiare i prodotti realizzati con le erbe aromatiche e i frutti dimenticati?
Credits immagine in evidenza: Giardino delle Erbe
L’articolo Il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio, dove vengono conservate piante officinali e frutti dimenticati sembra essere il primo su Giornale del cibo.