Un mosaico di sapori: mini guida su cosa mangiare a Ravenna
Nella città del mosaico, un mosaico di sapori: a Ravenna, ex città bizantina dall’importante passato storico e artistico, convivono due anime: una legata alla terra e una che risente del legame col mare. Similmente a quanto già visto a proposito di Venezia, sebbene la cucina tradizionale sia di forte impronta contadina, l’Adriatico è a un tiro di schioppo e la sua influenza si fa sentire.
Da un lato abbiamo quindi la campagna, che regala prodotti di pregio come scalogno, pesche nettarine (entrambi IGP), pinoli e una straordinaria varietà di erbe spontanee, oltre a spazi ideali per l’allevamento, tra cui spicca quello della Mora Romagnola, razza suina autoctona. Dall’altra ci sono invece le cozze, che crescono spontaneamente alla base delle piattaforme di estrazione al largo di Marina di Ravenna, e una grande abbondanza di pesce azzurro. Nel mezzo poi c’è l’abilità tutta manuale delle ‘zdore, che del tirare sfoglie al mattarello per ricavarne paste fresche, nonché la mitica piadina, hanno fatto una vera e propria arte. Ci sono quindi tutti gli ingredienti per iniziare insieme questa visita guidata – solo virtuale, ahimé – su cosa mangiare a Ravenna.
Cosa mangiare a Ravenna: tutta l’arte del saper mettere le mani in pasta
Nel ravennate, come del resto in tutta la Romagna, c’è storicamente una figura centrale nell’economia domestica di ogni famiglia: la cosiddetta azdora, o ‘zdora, ovvero la donna di casa che a tutto provvede. Anche e soprattutto alla cucina, con una particolare predilezione per la preparazione di paste fresche. L’arte di tirare lunghe sfoglie di pasta energicamente lavorate, con le mani prima e col mattarello poi, è la base di specialità come i cappelletti e la spoja lorda. Ma altri capisaldi di questa abilità nel mettere mani in pasta sono i passatelli e la piadina.
Cappelletti
Localmente chiamati caplèt, sono il primo piatto per eccellenza della tradizione ravennate. La base è una sfoglia di pasta all’uovo, che viene tagliata in quadratini chiusi a forma di gallozza (una sorta di berretto dalla calotta alta e col risvolto, tipico dei contadini romagnoli) su un ripieno di Parmigiano, raviggiolo (formaggella morbida della tradizione) e noce moscata. In ogni casa poi ci sono varianti, a seconda dell’uso e dei gusti, che prevedono l’impiego di altri formaggi come la ricotta o lo Squacquerone di Romagna DOP insieme o in alternativa al raviggiolo. I cappelletti si servono solitamente in brodo di cappone oppure conditi con ragù di carne.
Spoja lorda
Parente stretta del cappelletto è la spoja lorda. Si chiama così proprio perché veniva tradizionalmente preparata col ripieno avanzato dalla preparazione dei cappelletti, quanto ne bastava per “sporcare” (lordare) la sfoglia. Il composto di farcitura qui viene disposto a intervalli regolari sulla sfoglia di base, su cui viene quindi stesa la seconda sfoglia, sovrapponendola alla prima. Si taglia poi il tutto a rettangolini con una ruota dentata, che ne definisce il bordo. Detta anche “minestra imbottita”, si serve tipicamente in brodo.
Passatelli
Altro piatto della tradizione contadina e che scandisce spesso i giorni di festa sono i passatelli. In questo caso però non c’è nessun lavoro di tiratura al mattarello, il composto è infatti costituito da uova, pane raffermo grattugiato, formaggio e noce moscata. Una volta ben amalgamato l’impasto, lo si passa all’interno dell’apposito ferro, ovvero un attrezzo dall’impugnatura a due manici costituito da una lamiera circolare forata, che li taglia nella tipica forma di vermicelli dalla superficie rugosa. In alternativa al ferro da passatelli, difficile da reperire, si ottengono buoni risultati anche con un semplice schiacciapatate. Si consumano soprattutto in brodo di carne o di pesce, ma non è raro trovarne versioni asciutte, con condimenti di terra (funghi e tartufo) o di mare, come ad esempio vongole e zucchine.
Piadina e cassone
Cosa mangiare a Ravenna se non una buona piadina? Sì, anche qui il famoso “pane dei romagnoli” è di casa e in una versione ben differente da quella sottile tipica del riminese. La piada ravennate è infatti spessa, con una crosticina dorata e fragrante in superficie cui fa da contraltare un impasto morbido. La farcitura spalanca le porte di un mondo, in cui gusti personali e creatività trovano sfogo. Tra le più tradizionali, prosciutto crudo, squacquerone e rucola, mortadella, erbe di campo, ma non è raro trovarla anche in veste più orientata al dolce, come Squacquerone di Romagna DOP e fichi caramellati o col savòr, una composta ottenuta da mosto d’uva pigiato insieme a frutta secca, che si prepara nel periodo della vendemmia.
Parente stretto della piada è il cassone, detto anche crescione. L’impasto è lo stesso, ma viene tirato più sottile in modo da allargarlo e chiuderlo a mezzaluna intorno al ripieno. Si sigillano poi i bordi coi rebbi di una forchetta e si cuoce così, già farcito. Tra le versioni più tipiche: stridoli (erba spontanea tipica del periodo da maggio a ottobre), zucca e patate, ma per strizzare l’occhio ai turisti è ormai diffuso anche con pomodoro e mozzarella, alla maniera del calzone.
Ravenna, ideale punto d’incontro tra sapori di terra e di mare
Se farina, sfoglie e mattarello la fanno da padrona, la cucina ravennate offre ottimi spunti anche a livello di pietanze. E qui emerge l’essenza di città sospesa tra l’entroterra contadino e il mare poco distante: al pesce azzurro e alle cozze di Marina di Ravenna, protagoniste di una nota sagra che anima la località ogni giugno, fanno da contraltare la pregiata razza suina Mora Romagnola (presidio Slow Food) e il castrato, irrinunciabile puntello per chi non sa rinunciare alla carne.
Castrato e Mora Romagnola: la carne della tradizione
Il secondo piatto di carne per eccellenza a Ravenna è il castrato: una braciola ovina ottenuta dagli allevamenti ancora oggi ben presenti nell’entroterra romagnolo. Dopo la marinatura con sale, aglio e rosmarino, si cuoce alla brace e si serve al naturale o condita con un po’ di olio EVO e limone. In alternativa può essere preparata in umido con un fondo a base di un’eccellenza delle campagne locali, lo Scalogno di Romagna IGP. C’è infine la versione panata, che prevede il passaggio in farina, uova sbattute, pangrattato e parmigiano, prima della cottura alla griglia o, più tradizionalmente, della frittura in olio bollente.
Per gli amanti della carne poi c’è un appuntamento imperdibile, quello con la Mora Romagnola. No, non stiamo parlando di incontri galanti, siamo sempre in ambito enogastronomico, con particolare riferimento a una razza suina autoctona che in anni recenti è stata a forte rischio estinzione. Oggi è al centro di un progetto di recupero, al quale ha contribuito molto l’inclusione nei Presìdi Slow Food. Adatta all’allevamento allo stato brado, presenta carni sapide, con un livello di grasso che garantisce un equilibrio tra morbidezza e compattezza. Se ne ricavano ottimi salumi, salsicce fresche e passite, insaccate in budello naturale e trattate con sale dolce della vicina Cervia, sede di una delle più importanti produzioni saline italiane che, dopo i danni dell’alluvione del maggio 2023, punta a tornare operativa per agosto 2024.
Cozze, seppie e piselli e pesce azzurro: il mare è servito
A Ravenna il mare non c’è, ma lo si può quasi percepire. Oltre a essere distante soltanto pochi chilometri e direttamente collegato alla città attraverso il Canale Candiano, c’è una forte tradizione marinara nella cucina locale. Il prodotto di punta è una delle più pregiate varietà di cozze italiane, ovvero la cozza di Marina di Ravenna, dove annualmente in giugno si tiene la sagra a tema. Si gusta di solito alla marinara, con un guazzetto bianco insaporito con olio, aglio, prezzemolo e vino bianco o in rosso, con l’aggiunta di salsa di pomodoro.
Alla stessa maniera, spesso in combinazione con le cozze, si preparano anche le puràzi, letteralmente le “poveracce”, varietà di vongole che vivono sotto sabbia e che si colgono facilmente dopo una mareggiata, e le telline, che si differenziano per essere di taglia più piccola e per il colore dal bianco avorio al giallognolo del mollusco.
Un altro piatto della tradizione di mare a Ravenna è seppie e piselli. Le seppie vengono tagliate in piccoli tranci e cotte in umido insieme ai piselli con un sugo più o meno rosso di pomodoro, insaporito e fatto restringere a dovere. In alcuni posti viene servito all’interno di un coccio, con del pane bruschettato in accompagnamento.
Non può mancare infine una citazione per il più tipico pesce povero del mare Adriatico, la sarda. Qui in particolare la si prepara alla scottadito, ovvero si infilano le sarde su uno spiedo per cuocerle alla brace o al forno con della gratinatura. Da provare anche in abbinamento alla piada: alcuni posti propongono infatti la farcitura con sardoncini, cipolla e radicchio.
Dulcis in fundo: dalla zuppa inglese alla torta Teodora
Nonostante la Romagna non sia una terra a grande vocazione dolciaria, ci sono alcune specialità che non lasceranno deluso il vostro lato goloso. Dai classici più noti, come la zuppa inglese e la ciambella romagnola, alla torta Teodora e le Caterine, meno note ma strettamente legate alla città di Ravenna.
Zuppa inglese
Iniziamo da un grande classico della cultura emiliano-romagnola. A dispetto del nome, la zuppa inglese è un dolce tutto italiano, codificato da Pellegrino Artusi nella sua celeberrima opera “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. E a Ravenna, come del resto in tutta la Romagna, è di casa. Pressoché immancabile nella carta dei dolci di ristoranti e osterie cittadine, la si trova in versione “mattonella” o cremosa, servita in bicchiere o coppa e da gustare al cucchiaio. Consiste in strati di savoiardi o pan di Spagna o, ancora, di ciambella romagnola, inzuppati nell’alchermes e alternati a crema pasticcera e crema al cioccolato.
Caterine
Un’usanza della città di Ravenna è quella legata alle Caterine, ovvero biscotti dalla forma di gallina, di gallo o di bambolina, preparati in occasione della ricorrenza di Santa Caterina (25 novembre). Regalati come buon auspicio alle bambine e ai bambini, sono costituiti da un semplice impasto di farina tenera, burro, zucchero e scorza di limone e decorati in superficie con uno strato di cioccolato e codette di zucchero per dare colore ed espressione.
Ciambella Romagnola
L’abbiamo citata poco fa come possibile base per la zuppa inglese, ma è il dolce più identitario della Romagna. Stiamo parlando della ciambella: al contrario di quanto verrebbe da pensare non ha forma toroidale (col buco al centro, per intenderci), ma è una sorta di bauletto basso e compatto, dalla superficie marroncina spesso decorata con zucchero semolato o a velo. È un dolce da forno dall’impasto semplice, solo farina, uova, zucchero, latte e burro (nelle versioni più tradizionali si usava lo strutto), leggermente biscottato all’esterno, sodo e asciutto all’interno. Tradizionalmente preparato per le festività pasquali, oggi accompagna qualsiasi ricorrenza e lo si trova praticamente in ogni forno cittadino. Si presta bene come dolce da colazione, ma si usa consumarlo soprattutto a fine pasto. Un grande classico è l’abbinamento con l’Albana, classico vino bianco romagnolo, prodotto anche in versione passito, nel quale c’è chi ama intingerlo (o tociàrlo, per dirlo nel dialetto locale).
Torta Teodora
Chiudiamo con un dolce “giovane”, nato nel 2002 su iniziativa di alcuni pasticceri ravennati. L’ispirazione racchiusa nel nome è la figura dell’imperatrice bizantina Teodora, moglie di Giustiniano, che è rappresentata anche in uno dei mosaici più importanti della città, conservato all’interno della Basilica di San Vitale. Una fusione di ingredienti del territorio con altri di richiamo orientale, che si esprime attraverso un impasto di farina gialla di granturco e farina di frumento, uova, tuorli, zucchero, burro, pinoli, mandorle tritate e una speziatura di cannella. La cottura in forno la rende dorata e morbida all’interno, dove si esaltano le diverse sfumature di aroma e consistenza.
Con un così ricco mosaico di sapori, non trovate che Ravenna offra tanti buoni motivi per essere visitata?
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