Legumi da riscoprire: biodiversità, produzioni tradizionali italiane e ricerca per i cibi del futuro
Sulle proprietà salutari dei legumi non ci sono dubbi e i nutrizionisti consigliano di aumentarne il consumo, per il loro contenuto di fibre e proteine vegetali, un valido sostituto anche di quelle di origine animale. Pensando alla biodiversità agricola italiana, sono tante le produzioni da riscoprire, per le loro caratteristiche gastronomiche ma anche per il patrimonio storico e culturale che rappresentano. In parallelo, continuano a progredire gli studi per efficientare la produzione nel senso della sostenibilità e per il miglioramento genetico delle piante, oltre ai progetti nazionali e europei, che hanno l’obiettivo di valorizzare la cultura dei legumi. Approfondiremo questi diversificati aspetti di interesse, che abbinano passato e futuro nelle ricerche sui legumi di ieri e sui cibi di domani.
Perché i legumi sono importanti per la sostenibilità e contro la povertà?
I legumi sono alla base dell’alimentazione umana dagli albori dell’agricoltura, una risorsa particolarmente rilevante sul piano nutrizionale per il suo contenuto proteico e di fibre. A spiccare, inoltre, è l’apporto di minerali, quali ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando i semi sono freschi, anche vitamina C. Queste ed altre importanti peculiarità sono celebrate anche da una Giornata internazionale indetta dalla Fao (Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Il 10 febbraio, infatti, si celebra il World Pulses Day, per riconoscere il valore e il contributo di questi semi nei sistemi agroalimentari globali, e a maggior ragione in ottica di contrasto alla fame nel mondo e di sostenibilità.
Quelli che comunemente chiamiamo legumi sono i semi commestibili delle piante leguminose, di cui fanno parte appunto fagioli, lenticchie, ceci, piselli, lupini e carrube, in tutte le loro svariate tipologie. Tra i loro pregi, c’è la capacità di fissare l’azoto atmosferico, arricchendo i terreni di materia organica, aumentando la capacità del terreno di trattenere l’acqua e quindi la fertilità, come abbiamo visto occupandoci di agricoltura rigenerativa. Non a caso, i disciplinari dell’agricoltura biologica, che vietano i fertilizzanti sintetici, prevedono la coltivazione di legumi in rotazione con le altre colture.
Per chi coltiva, infatti, i legumi sono preziosi alleati, perché consentono appunto di ridurre l’uso di fertilizzanti e i consumi energetici, limitando di conseguenza anche le emissioni inquinanti. Inoltre, necessitano di un quantitativo di acqua estremamente più contenuto rispetto ad altre fonti proteiche e contribuiscono significativamente alla biodiversità delle aree coltivate. La classica alternanza e consociazione con altre colture, infatti, crea un paesaggio più diversificato e idoneo alla vita di insetti e piccoli animali.
Non da ultimo, i legumi hanno il pregio di poter essere conservati a lungo, anche per mesi e senza refrigerazione, mantenendo le loro caratteristiche nutrizionali. Perdipiù, essendo la fonte di proteine più economica, hanno un ruolo di primo piano contro la povertà, per la sicurezza alimentare e nel conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati tra l’altro nella recente strategia europea Farm to fork. Infine, da un punto di vista culturale e identitario, i legumi sono una colonna portante della dieta mediterranea, universalmente riconosciuta come piramide alimentare salutare e dal ridotto impatto ecologico.
Legumi italiani Dop e Igp da riscoprire
Anche parlando di legumi, la biodiversità agricola italiana sorprende per la sua grande ricchezza, che interessa tutta la Penisola da Nord a Sud. Molte di queste piccole produzioni locali, di diverse forme e colori, sono state riscoperte e valorizzate in tempi recenti, anche grazie alla gastronomia di eccellenza e alla spinta offerta dal turismo. Un contributo significativo è venuto da iniziative private come Legumi che passione e Cercatori di Semi, come abbiamo visto nel nostro approfondimento: progetti nati dall’amore per le piante e dalla volontà di far conoscere e apprezzare questi frutti della terra, in tutte le loro sfumature. Tra le decine di varietà di legumi italiane, ecco una panoramica da Nord a Sud delle produzioni tradizionali di fagioli italiani che hanno già ottenuto il marchio Igp o Dop.
Fagiolo Cuneo Igp
Prodotti nella Provincia di Cuneo, comprendono le varietà Billò, Spagna Bianco, Stregonta, Bingo, Rossano, Barbarossa, Solista e Millenium. Allo stato secco, la granella di Billò si distingue per il colore violaceo, a differenza dei candidi Corona e Bianco di Bagnasco. In generale, questa produzione si caratterizza per la delicatezza del gusto, che ben si abbina con gli ingredienti del minestrone, ma anche con aglio, lardo, porri, patate e peperoncino. La commercializzazione strutturata risale dell’Ottocento e, tradizionalmente, questi fagioli vengono anche consumati come alternativa a pane e pasta.
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese Igp
Questi fagioli rossi, che in base alle varietà Spagnolit, Spagnolo, Calonega e Canalino possono essere rotondi, ovali o leggermente schiacciati, si coltivano in 21 Comuni compresi nelle comunità montane Feltrina, Bellunese e Val Belluna, della provincia veneta di Belluno. La produzione fu introdotta nel territorio nel Cinquecento, e per secoli ha sostituito la carne. Si sposano bene con minestroni, risotti e pasta e fagioli, e per preservare al meglio le caratteristiche si consiglia di sgranare i fagioli dal baccello solo al momento dell’utilizzo.
Fagiolo di Sorana Igp
Si producono nel territorio del Comune di Pescia, nei versanti orientale e occidentale del torrente Pescia di Pontito, in provincia di Pistoia, in Toscana. Dalla particolare forma schiacciata con polpa soffice, si trovano nella varietà bianco latte, dal gusto delicato, o rosso vino, più saporito. Ideali per cotture molto semplici, come la tipica lessatura, si consiglia di metterli in ammollo la sera prima per poi bollirli all’interno della stessa acqua, magari nella tradizionale pentola di coccio. Recuperata di recente, questa produzione trae le sue origini dalle bonifiche iniziate sotto il dominio dei Medici e proseguite durante il Granducato di Toscana.
Fagiolo Cannellino di Atina Dop
Questo particolare cannellino si produce nei comuni di Atina, Villa Latina, Picinisco, Casalvieri, Casalattico e Gallinaro in provincia di Frosinone, nel Lazio. Dalla forma leggermente ellittica e schiacciata e dalla buccia bianca opaca, questo fagiolo ha la particolarità di non necessitare di ammollo prima della cottura. Tenero e delicato, viene esaltato in diverse ricette locali in abbinamento con cipolla, aglio e peperoncino. Questa produzione era già rinomata all’inizio dell’Ottocento, sotto il Regno di Napoli.
Fagioli Bianchi di Rotonda Dop
La zona di produzione ricade all’interno del territorio del Parco nazionale del Pollino e include i comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, in provincia di Potenza, in Basilicata. Questi fagioli lucani colpirono anche Giuseppe Garibaldi, che dopo averli apprezzati volle coltivarli nella sua residenza di Caprera. Da fresco, il baccello ha un colore tendente al giallo, mentre da secchi i fagioli sono completamente bianchi, con una superficie brillante. Le ricette locali li sposano con cavoli, patate, scarola e diverse aromatizzazioni, mentre la buccia sottile riduce notevolmente i tempi di cottura.
Fagiolo di Sarconi Igp
Con questa produzione, che comprende numerose varietà di borlotti e cannellini di forme e colore diversi, si resta in Basilicata, più precisamente nella provincia di Potenza. In generale, questi fagioli hanno polpa tenera e sapore delicato, ed è sufficiente una cottura rapida “a prima acqua”, che li rende perfetti per paste, risotti, zuppe, minestre e contorni.
Oltre alla qualità delle sementi, a contraddistinguere positivamente questo territorio sono sempre state le acque d’irrigazione, leggere e poco alcaline, ma anche il clima e i terreni alluvionali sabbiosi, ricchi di azoto e privi di calcare.
Il futuro dei legumi: nuovi prodotti e salvaguardia della biodiversità
Le potenzialità dei legumi hanno spronato le ricerche per ottimizzarne le caratteristiche, in ottica di produttività e sostenibilità. Tra queste, possiamo citare il progetto Localnutleg, guidato dall’Irta (Institute of Agrifood Research and Technology), insieme ad altri centri e aziende da Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Turchia, Israele e Marocco. Questa iniziativa, avviata nel 2021 e destinata a concludersi nel 2024, si pone l’obiettivo di valorizzare alcune coltivazioni mediterranee per ottenere nuovi alimenti di origine vegetale, come bevande o farine. In questo campo, legumi come fagioli, ceci e carrube sono protagonisti, insieme ad altri semi oleosi come le noci. Il gruppo di ricerca realizzerà un profilo nutrizionale e biochimico di cinquanta cultivar locali di area mediterranea, al fine di produrre bevande probiotiche fermentate, gel probiotici fermentati simili a yogurt e formaggio, ma anche farine per pasta e prodotti da forno.
Altrettanto interessante è il progetto europeo INCREASE, che annovera tra i partner anche il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) e alcune Università italiane, nato per salvaguardare e diffondere la diversità delle varietà di legumi. Come accennato, sono migliaia le cultivar di legumi, anche se attualmente solo una piccola parte viene effettivamente coltivata, con particolare riferimento all’agricoltura industrializzata che domina la produzione. Allo scopo di preservare e non disperdere questo patrimonio genetico, i semi vengono conservati nelle banche del germoplasma. Queste preziose casseforti, tuttavia, non sono sufficienti, e per sostenere la salvaguardia il progetto prevede due percorsi, in laboratorio e in campo, grazie alla collaborazione dei cittadini europei.
INCREASE, infatti, opera nel sequenziamento genetico e nello studio delle proprietà nutrizionali di migliaia di varietà di legumi – ceci, lenticchie, fagioli e lupini – un’attività affiancata dal coinvolgimento delle realtà interessate nell’utilizzo dei legumi: si parla quindi di aziende agricole, produttori di semi, industrie e istituti agrari.
Inoltre, per superare l’isolamento che inevitabilmente caratterizza le banche del seme, gli europei sono chiamati a diffondere una parte di queste varietà nell’ambiente, per favorire l’aumento dell’agrobiodiversità. Ogni cittadino può ricevere i semi di sei fra circa mille varietà tradizionali, che potrà coltivare in campo, in giardino o sul proprio balcone. Per partecipare basta scaricare l’app “Increase CSA” e ordinare i semi, da piantare seguendo le istruzioni, per poi documentare le fasi di crescita, con foto da inviare, che verranno analizzate dai ricercatori. In base alle proprie esperienze, il monitoraggio si può svolgere secondo tre diversi livelli: principiante, mediamente esperto o esperto.
Questo esempio di partecipazione è importante per indagare la qualità e la produttività in una gamma molto diversificata di ambienti e condizioni diverse. I cittadini, inoltre, sono invitati a conservare i semi che producono, per sperimentarli in ricette diverse, riseminarli e scambiarli con altre persone, creando una rete decentrata di conservazione e valorizzazione dell’agrobiodiversità.
Aumento della richiesta e produzione di legumi in Italia
Come ha evidenziato Coldiretti, in Italia nell’ultimo decennio i consumi sono aumentati del 47%, una tendenza che si è rafforzata in seguito alla pandemia Covid-19, con una produzione di 150.000 ettari di terreno, ai quali se ne aggiungono circa 273.000 seminati a soia.
Nella realtà attuale del mercato, però, le produzioni nazionali devono confrontarsi con la concorrenza di quelle estere, che spesso vengono proposte a prezzi inferiori. In Italia sono più di 150.000 gli ettari di terreno destinati ai legumi, ai quali se ne aggiungono circa 273.000 seminati a soia.
Secondo Coldiretti, la logica delle importazioni ha danneggiato il settore nazionale, tanto che “la produzione italiana si è drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni. Nel 2022 le importazioni di legumi in Italia hanno superato i 400 milioni di chili, in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un balzo del 16% per i piselli, sulla base dei dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2021”.
Ben vengano, quindi, progetti di tutela e riscoperta come quelli citati, che secondo il modello di citizen science sono pensati per affiancare e completare i sistemi tradizionali, basati sulle banche del germoplasma. Iniziative di questo tipo aiutano a diffondere cultura e consapevolezza sui legumi e sulle loro proprietà, comprese le qualità sensoriali da esaltare in cucina, anche a partire dalle varietà e dalle produzioni autoctone.
Voi le conoscevate?
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