La crisi del riso: come i cambiamenti climatici stanno compromettendo la produzione
Gli stravolgimenti climatici continuano a mettere a dura prova l’agricoltura, e sia a livello nazionale come su scala globale a preoccupare è quella che può essere definita come una vera e propria “crisi del riso”. La produzione di questo cereale, alla base dell’alimentazione di buona parte della popolazione mondiale, soffre per la siccità ma anche per le alluvioni. Per fronteggiare fenomeni estremi, entrate sempre più nella normalità, la ricerca è chiamata ad adattare i metodi di coltivazione, ma anche a selezionare nuove varietà resistenti agli stress climatici, ricorrendo ad esempio al miglioramento genetico. Ma qual è la situazione e cosa si sta facendo in Italia e nel mondo?
Approfondiremo l’argomento considerando i dati degli organismi di settore e recenti ricerche sulla risicoltura.
La crisi del riso: siccità e alluvioni colpiscono una risorsa alimentare primaria
Alimento basilare nella dieta in tanti Paesi del mondo, attualmente il riso contribuisce a sfamare circa la metà della popolazione globale ed è riconosciuto tra le principali risorse nutrizionali del pianeta, per ragioni economiche ma anche culturali. Nondimeno, rappresenta una fondamentale risorsa di reddito e di commercio, in passato utilizzata anche come moneta di scambio. Nelle sue numerose varietà, soprattutto in Asia e in Africa costituisce la base alimentare, ma si distingue per alcune caratteristiche preziose per ampie fasce di consumatori di tutte le latitudini, essendo un’importante fonte di amido, priva di glutine e dall’elevata digeribilità. Sfruttando differenti varietà adattate a diversi climi, la coltivazione del riso si pratica ovunque, come abbiamo visto nel nostro approfondimento. Secondo le stime Fao, l’Asia domina la produzione con circa il 90% dei quantitativi mondiali, per un consumo pro capite annuo superiore ai 77 kg.
Come avviene per il pomodoro e per altre materie prime, però, anche la risicoltura – l’attività agricola che richiede più acqua, 3-10.000 litri per 1 kg di prodotto, a seconda della varietà e del terreno – è danneggiata dagli eventi estremi legati alla crisi climatica. Questa situazione, peraltro, si accompagna al rialzo dei prezzi causato dall’inflazione, una combinazione di fattori che va a discapito della sicurezza alimentare di milioni di persone del mondo.
La scorsa estate si è caratterizzata per una siccità senza precedenti, che ha colpito i cereali. Come evidenziato dal Crea (Centro di ricerca Alimenti e nutrizione), per la risicoltura si tratta di un problema recente, in passato limitato ad alcune zone, ma che nel 2022 si è manifestato in modo dirompente, tanto che in Italia – dove si produce il 50% del riso europeo – circa il 30% delle superfici coltivate a riso è stato abbandonato per l’impossibilità di fornire la giusta irrigazione. Per le aree irrigate non sufficientemente o in modo non continuativo, devono essere ancora stimate le riduzioni delle rese.
Fenomeni meteorologici e problemi geopolitici nel mondo
Dallo scorso anno, la crisi climatica colpisce la risicoltura asiatica con eventi estremi che stanno entrando sempre più nella normalità. Alle piogge alluvionali, che hanno interessato l’India e parte dell’Asia meridionale, hanno fatto seguito ondate di caldo alternate a precipitazioni fuori dalla norma in Cina e inondazioni in Bangladesh e in Vietnam, dove la produzione è in netto calo rispetto al passato. Le piogge stagionali monsoniche, molto importanti per la risicoltura, in molti Stati indiani sono calate del 45%. In Pakistan, invece, si è dovuto fronteggiare il problema opposto, con inondazioni che hanno fatto crollare la produzione annuale del 31%. Per l’anno 2022, in India, la semina è diminuita del 13% rispetto al 2021 mentre in Cina, per far fronte ai danni dovuti alla crisi climatica, si è dovuto ricorrere maggiormente alle importazioni, con un aumento di 6 milioni di tonnellate nel 2022/2023. Una situazione analoga si è verificata in Bangladesh, dopo le inondazioni estive che ne hanno colpito le coltivazioni. Si tratta di fenomeni che fino a pochi anni fa eravamo portati ad associare unicamente alla fascia tropicale, ma che recentemente, purtroppo, hanno coinvolto anche l’Italia. Nelle zone colpite dall’alluvione della Romagna, sul piano agricolo, a farne le spese è stata soprattutto la frutticoltura.
L’insieme di tutti questi fenomeni avversi ha determinato un calo significativo della produzione nel continente asiatico, che su scala globale si è aggiunto ad altri problemi già presenti e rilevanti per l’approvvigionamento alimentare nel mondo. Ad esempio, l’aggressione militare russa in Ucraina, con la crisi del grano che ha generato, indirettamente ha determinato un aumento delle richieste di riso in Africa, avendo provocato la riduzioni nell’esportazione di frumento. Questa dinamica ha incrementato ulteriormente i prezzi, e di conseguenza le capacità di fornire materie prime alimentari in quantità e a basso costo nel Sud del mondo.
Le tecnologie per preservare la risicoltura riducendo l’impatto ecologico
Alla situazione dettata dalla crisi climatica si sta rispondendo con la tecnologia, e prima di tutto con quella che interviene in risaia. In Italia è già stata avviata la sperimentazione di sistemi di irrigazione mirata, già sviluppati in Israele, dove con la siccità ci si confronta da sempre. Tra le diverse soluzioni, si stanno testando impianti automatizzati con tubature sotterranee, per raggiungere le radici delle piante con un grande risparmio di acqua. Una gestione più efficiente dell’acqua, ad ogni modo, è il primo tra gli obiettivi che si perseguono, anche attraverso modalità di stoccaggio al fine di mantenere le risaie sommerse durante l’inverno. Oltre a questo, è in via di perfezionamento la coltivazione in asciutto, dove il riso è seminato a file e sommerso un mese più tardi rispetto al metodo tradizionale. Si tratta di un sistema adatto ai terreni sabbiosi, che consente una maggiore densità iniziale delle piante, messe a dimora in modo più regolare rispetto alla semina consueta in acqua. Tra i punti deboli di questo metodo, però, c’è la necessità di concentrare la richiesta di acqua in giugno, periodo in cui si accentua la siccità. Con la semina in acqua, invece, è in primavera che aumenta la richiesta di risorse idriche, cioè quando la disponibilità è superiore.
Anche se era consuetudine trovarlo nelle terre paludose bonificate, il riso non è a tutti gli effetti una coltivazione acquatica, ma l’acqua è importante per mantenere costante la temperatura della pianta. Nel ciclo produttivo, le risorse idriche utilizzate rimangono nel sistema, passando da una risaia all’altra, mentre quella che non si disperde per l’evaporazione viene convogliata nei fiumi. Pertanto, l’acqua effettivamente consumata è quella che si disperde in atmosfera, una quantità che nel complesso cambia poco tra le diverse tipologie di coltivazione. Per un ettaro occorrono tra 15 e 20.000 metri cubi d’acqua, per una produzione di 7 tonnellate di risone grezzo, pari a poco più di 4 tonnellate di riso bianco. In ogni caso, si tratta di un impatto considerevole, al quale si aggiunge quello delle emissioni di gas metano delle risaie. A questo proposito, una recente ricerca pubblicata nel 2022 su CGSpace evidenzia le potenzialità della risicoltura nella mitigazione delle sue emissioni di questo gas, concausa dell’effetto serra.
Il miglioramento genetico contribuisce alla resilienza delle coltivazioni
Tra le possibilità per far fronte alla crisi del riso c’è il miglioramento genetico, per selezionare nuove varietà resistenti alla carenza e all’eccesso di acqua. Le ricerche in corso sono indirizzate all’editing genetico e le sperimentazioni mirano anche a ottenere piante in grado di tollerare le acque salmastre, un problema sempre più rilevante soprattutto nelle zone in prossimità delle coste o dove il cuneo salino sta risalendo le foci dei fiumi. Negli ultimi anni, questo fenomeno sta interessando anche il Po. In particolare, grazie al progetto Neurice, realizzato grazie a fondi europei e conclusosi nel 2020 dopo quattro anni dall’avvio, sono state create molte nuove varietà di riso. Per sei di queste, resistenti alla salinità, in seguito è stato avviato il processo di registrazione per la commercializzazione. Il progetto è stato realizzato in Spagna, con la collaborazione di Università, centri di ricerca e aziende, da Spagna, Francia, Italia, Inghilterra, Argentina e Cina.
Oltre a questo filone di ricerca, gli studi lavorano a selezionare piante con un apparato radicale più robusto, e quindi più resistenti agli stress climatici. Sul fronte della fertilità del suolo, invece, si punta a incoraggiare l’utilizzo di leguminose interrate prima della coltivazione del riso, per arricchire il terreno di nutrienti. Il surriscaldamento dei terreni, infatti, aumenta la dispersione di sostanza organica che occorre reintegrare.
Crisi del riso in Italia: sfruttare meglio l’acqua e puntare sulla qualità
Le più recenti previsioni dell’Ente nazionale Risi indicano che nel 2023 in Italia verranno coltivati a riso non più di 211.000 ettari: 7.400 in meno rispetto al 2022 e 16.000 in meno rispetto al 2021. Si tratta della superficie minima nell’ultimo ventennio, un dato da imputare alla siccità e nel Nord Italia, dove si coltiva il 94% del riso italiano, in molte zone le riserve idriche sarebbero già carenti. L’estate siccitosa del 2022, in Piemonte e Lombardia – dove tra Vercelli, Novara e Pavia c’è il cuore della produzione nazionale – ha causato un calo del 17% rispetto al 2021. Oltre a spiccare in termini di quantità, peraltro, l’Italia si distingue per le varietà più adatte per i risotti, come l’Arborio, il Carnaroli e il Vialone nano, che quindi non si potrebbero rimpiazzare con importazioni estere.
Il più antico metodo per favorire la risicoltura è la realizzazione di opere idrauliche, per sfruttare e diffondere le risorse idriche, e alcune aree, come il vercellese, ancora beneficiano delle canalizzazioni realizzate tra Ottocento e Novecento. Come è facile immaginare, si tratta di infrastrutture da manutenere e da ammodernare, anche ai fini della sicurezza idraulica.
Ad ogni modo, con i cali di produzione – ai quali si aggiungono l’aumento dei costi di lavorazione, dell’energia e dell’inflazione – i prezzi sono aumentati nettamente. Per gran parte delle aziende italiane, la soluzione per restare sul mercato è ripensare la cultura del riso come prodotto di alta qualità, per differenziarsi dal mercato generalista e poter giustificare l’aumento prezzi. Specializzarsi nelle produzioni di alta gamma, proponendosi alla cucina professionale ma anche al consumatore medio che apprezza la qualità del Made in Italy, può essere una scelta vincente. Prima di tutto, però, occorre diffondere una consapevolezza, come è avvenuto con tante altre produzioni, come la pasta, il vino e l’olio d’oliva. Valorizzare il patrimonio varietale e la biodiversità agricola, ma anche l’ambiente stesso della risaia, con la ricchezza naturale e paesaggistica che rappresenta, è alla base di questo percorso.
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