La cultura di una città in un piatto: la ricetta del cacciucco livornese

     

    Se c’è una specialità simbolo della cucina livornese, non c’è dubbio che sia lui, il cacciucco. Nato come piatto povero, è una delle più conosciute zuppe di mare della tradizione italiana: un insieme di pesci di piccola taglia portati a cottura in un sugo rosso di pomodoro e tipicamente accompagnato da crostoni di pane agliato. A Livorno è una vera e propria istituzione, al punto che esiste una rete di associazioni ed enti locali impegnata a custodirne e valorizzarne la tradizione. In questo senso è stata istituita una certificazione da rilasciare a ristoranti e osterie che lo preparano nel rispetto di un disciplinare.
    Ma dietro questo baluardo della cultura livornese c’è una storia che affonda le sue radici ben lontano dalla città toscana. Curiosi di scoprire tutto sul cacciucco, quello rigorosamente con cinque “C”?   

    Cacciucco livornese, una storia che parte da lontano 

    Lo direste mai che un piatto così fieramente legato a un territorio, com’è il cacciucco livornese, ha in realtà origini che portano lontano non solo dalla città labronica, ma addirittura dall’Italia?

    Stando alle fonti storiche della Fondazione LEM (impegnata nella promozione turistico-culturale di Livorno) sembra invece che tutto abbia avuto inizio a Karşıyaka, paese costiero della baia di Smirne, in Turchia. Qui era radicata l’abitudine di preparare la balik çorbası, un antico piatto povero a base di tagli di pesce rimasto invenduto e cucinati in umido in un’unica pentola, col solo accorgimento di aggiungerli in momenti diversi a seconda del tempo di cottura richiesto da ciascun tipo. Sarebbe stato il commerciante Ahmet, originario di Karşıyaka, a importare a Livorno la ricetta con cui sua madre proponeva la balik çorbası nell’osteria di famiglia. Apportò una sola ma significativa variazione: eliminò i capperi, presenti nella versione originale turca, e aggiunse invece il pomodoro. All’epoca, la seconda metà del XVII secolo, era la grande novità del momento: gli scambi commerciali lo avevano fatto arrivare dall’America fino al nostro paese. Da lì in poi la zuppa di pesce proposta da Ahmet nella taverna che aveva aperto dopo essersi stabilito a Livorno si colorò di rosso e riscontrò successo. 

    © Fondazione LEM

    Ma com’è arrivata a chiamarsi proprio cacciucco? Quando Ahmet girava per i banchi dove si vendeva il pescato del giorno chiedeva sempre pesci di piccola taglia, ovvero “küçük balik” (“pesce piccolo” in turco). Il suo modo di ripetere insistentemente nella sua lingua la parola “küçük” diventò il vezzeggiativo “cacciucco” con cui lo appellarono i mercanti. Ahmet ne fece dapprima il nome del suo locale e in definitiva quello della specialità che oggi tutti conosciamo.

    La ricetta fu poi codificata nel 1891 da Pellegrino Artusi ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, la sua leggendaria bibbia gastronomica pubblicata in quindici versioni e da lui stesso curata fino al 1911. Qui viene illustrata anche un’altra versione di cacciucco, quello alla viareggina definito “assai meno gustoso dell’antecedente, ma più leggero e più digeribile”.  

    Il disciplinare del cacciucco livornese “fatto a modino”

    Il cacciucco livornese è una zuppa di mare, costituita da diverse tipologie di pescato, nessuna delle quali deve sovrastare le altre. A partire da questo principio l’Associazione del Cacciucco, in collaborazione con la Pro Loco di Livorno, ha messo a punto un disciplinare che vuole essere linea guida di un piatto altrimenti facilmente deviabile verso una moltitudine di interpretazioni che rischierebbero di allontanarlo dalla tradizione. In ogni ristorante tipico, come del resto in ogni famiglia livornese, si prepara il cacciucco secondo il proprio gusto e la disponibilità del giorno. La certificazione “cacciucco 5C” (a rimarcare anche la corretta pronuncia della parola), espressa attraverso un logo che ogni locale aderente espone, diventa quindi garanzia di trovarsi nel posto giusto per assaporare il vero cacciucco livornese.
    Tra gli aspetti salienti del disciplinare sono definite le tipologie di pescato e le quantità minime e massime ammesse. Nel dettaglio:

    • Pesci di scoglio, ovvero quelli che vivono a profondità prossime ai fondali. Ne fanno parte scorfano, cappone, gallinella, pesce prete, rana pescatrice, tracina, boccaccia, ghiozzo. Non è necessario che ci siano tutti, ma si raccomanda la presenza di più tipologie nella misura da un terzo alla metà del peso totale.
    • Molluschi cefalopodi, come polpi di scoglio, moscardini, seppie e totani: se ce n’è soltanto una specie, dev’essere presente da un minimo di un quarto a un massimo di un terzo del peso totale; fino al limite del 50%, invece, se sono almeno due tipologie diverse.   
    • Crostacei, come cicale di mare e gamberi possono costituire al massimo il 10% del totale.
    • Altre tipologie di pescato ammesso sono le cozze (non più del 10%) e i pesci a trance come murena, grongo o più comunemente palombo, nella misura massima del 20%.

    © Fondazione LEM

    Sulla provenienza, il disciplinare ammette solo il pescato di imbarcazioni che operano nei compartimenti marittimi della Toscana. L’unica eccezione ammessa in questo senso è per il palombo, che è sufficiente sia di origine mediterranea. Bandite invece le specie pregiate, che ne snaturerebbero l’identità di piatto povero.

    Ci sono poi specifiche anche sugli altri ingredienti ammessi. A partire dal pomodoro, elemento essenziale per la preparazione del sugo, che deve armonizzare i sapori, oltre a determinare colore e consistenza del piatto. Si possono usare passata di pomodoro oppure pomodori freschi o in polpa, purché di provenienza Toscana o da territori contigui. Allo stesso modo è ammesso anche il concentrato di pomodoro, che qualcuno preferisce aggiungere per rendere più densa la salsa. 

    Il vino usato per sfumare e insaporire dev’essere rigorosamente prodotto toscano DOC o IGT, così come l’olio extravergine di oliva (Toscana DOP o IGP). Facoltativo l’aceto, mentre per ortaggi (sedano, carota, aglio e cipolla), erbe aromatiche (tra cui salvia e prezzemolo), spezie e persino il sale è prescritta l’origine italiana. 

    Infine, il pane: elemento di accompagnamento è considerato però di fondamentale importanza per completare l’esperienza del cacciucco. Il disciplinare impone che sia pane raffermo a lievitazione naturale prodotto con farine di grano autoctono o da panifici aderenti al Consorzio del pane toscano. Tradizione vuole che le fette di pane siano tostate e strofinate con aglio – di provenienza italiana ovviamente.

    La certificazione “Cacciucco 5 C”

    Pro Loco livornese e Associazione del Cacciucco hanno promosso e coordinato un Comitato di Certificazione, che comprende rappresentanti di vari enti e associazioni, tra cui Comune di Livorno, Camera di Commercio, ADICONSUM (Associazione Difesa Consumatori), oltre a FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori) e Accademia Italiana della Cucina.
    Tra le attività del comitato quella di tenere aggiornato l’elenco dei ristoranti e delle attività che operano secondo le linee guida del disciplinare e che possono quindi esporre il marchio registrato “Cacciucco Certificato 5 C”. Un modo per tutelare consumatori e turisti che vogliono assaporare questa specialità tipica, nel rispetto della tradizione a cui è ispirata. 

    Le cinque C scelte per identificare questo progetto di valorizzazione culturale hanno una doppia valenza. Oltre a scansare ogni equivoco circa la corretta pronuncia della parola “cacciucco”, fissa le cinque prerogative chiave del piatto:

    • C come “caratteristico” di Livorno e dei territori limitrofi che ne hanno assorbito l’influenza culturale;
    • C come “classico” per la sua antica storia e per come ha saputo diventare tratto identitario della cultura locale;
    • C come “cucinato” con “cura” e “competenza”, a sottolineare la passione e la professionalità con cui osti e cuochi della città vi si dedicano, dalla scelta degli ingredienti al modo migliore di assemblarli.

    Da qualche anno la tradizione del cacciucco viene celebrata attraverso un evento chiamato “cacciucco pride”, che si tiene tipicamente intorno alla metà di settembre e che prevede l’allestimento di un grande stand gastronomico dove assaporare il cacciucco 5 C.

    Come si fa il cacciucco livornese? La ricetta

    © Fondazione LEM

    Come molti piatti cosiddetti “poveri”, il cacciucco livornese  è entrato nel tessuto popolare diffondendosi di casa in casa e prestandosi quindi a personalizzazioni e varianti. Ogni famiglia ha il suo modo di prepararlo, spesso custodito gelosamente. Fatta questa doverosa premessa, riteniamo altrettanto doveroso, dopo avervi tanto ingolosito, darvi la ricetta ufficiale dell’autentico cacciucco 5 C. Vista la moltitudine di ingredienti e di variabili ammesse, non riportiamo le quantità precise. Come indicazione di massima, tenete conto che nell’antica ricetta codificata da Pellegrino Artusi si parla di 300 grammi di pomodoro (passato o a pezzi) per 700 grammi totali di pescato

    Procedimento

    1. Pulite e desquamate i pesci, eliminando branchie e viscere.
    2. In una casseruola versate un litro d’acqua e aggiungete sedano, carota, cipolla e i pesci di piccola taglia (quali ad esempio: scorfano, tracina, rana pescatrice, gallinella ecc.), quindi salate, portate a ebollizione e lasciate cuocere per almeno quaranta minuti, schiumando se necessario.
    3. Con un passaverdura riducete i pesci bolliti in un brodo da tenere in caldo. 
    4. Preparate un trito di aglio, cipolla, carota, sedano, salvia e peperoncino e fatelo soffriggere con olio EVO in una pentola capiente.
    5. Mettete nel soffritto i molluschi: prima polpi e/o moscardini, dopo qualche minuto le seppie. Dopodiché fate sfumare col vino, aggiungete la passata, un po’ di concentrato di pomodoro, quindi insaporite con la salvia e qualche mestolo di brodo di pesce.
    6. Controllate il livello di cottura dei molluschi. Quando vi accorgete che iniziano ad ammorbidirsi, unite i pesci di taglia più grande, i crostacei e, in ultimo, le cozze.
    7. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere a fuoco dolce, bagnando di tanto in tanto col brodo, se necessario.
    8. Quando le cozze iniziano ad aprirsi, spegnete il fuoco.
    9. Impiattate preferibilmente in terrine di terracotta, disponendo prima i molluschi, poi i pesci interi e a trance, quindi crostacei e cozze. Versate ancora un po’ di brodo e completate con un giro d’olio EVO a crudo.
    10. Disponete a margine del piatto i crostoni di pane precedentemente bruschettato e agliato. In alternativa, le fette di pane possono essere disposte sul fondo della terrina, prima dell’impiattamento.

    A questo punto il cacciucco è pronto per essere gustato rigorosamente caldo. A completamento dell’esperienza potreste agevolare la digestione con un ponce alla livornese: nient’altro che rhum caldo e caffè, una bevanda nata per dare conforto e ristoro ai marinai infreddoliti ed entrata a pieno titolo tra le abitudini locali. 

    A questo punto tocca a voi dirci: sapevate già tutto della storia e della tradizione del cacciucco livornese? Siete curiosi di provare l’esperienza del “cacciucco 5 C”?

     


    Immagine in evidenza di: © Fondazione LEM

     

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