Biotecnologie sostenibili per l’agricoltura italiana: il progetto BIOTECH
Le biotecnologie rappresentano un’opportunità molto importante per l’agricoltura, che concettualmente hanno origine negli esperimenti di incrocio e miglioramento praticati ormai da molto tempo per aumentare rese e qualità delle produzioni. Ma in cosa consiste la nuova frontiera delle sperimentazioni e perché, nella realtà, è lontana dalla percezione negativa diffusa rispetto agli ogm? Al di là delle diffidenze e della complessità del tema, approfondiamo l’argomento considerando l’esperienza italiana di BIOTECH, un progetto di ricerca pubblica che lascia intravedere notevoli potenzialità e del quale si è parlato al Festival del giornalismo alimentare di Torino.
Quando la natura non basta: cosa sono le biotecnologie in agricoltura
L’uso di biotecnologie in agricoltura si contrappone alla biodiversità? E perché serve ricorrere a questi metodi se la natura ci offre la biodiversità? L’argomentazione del professor Luigi Cattivelli, responsabile scientifico del progetto Biotech, parte da queste semplici domande, considerando la diffidenza che pesa su questo ambito di studi e sperimentazioni da parte dell’opinione pubblica. Il miglioramento genetico è tra noi da decenni, e quasi tutti i cibi di origine vegetale che mangiamo derivano da selezioni che hanno plasmato la natura in base alle nostre preferenze.
Per aiutare a comprendere, come ha precisato Cattivelli, è utile ricostruire le origini di questa opera umana, con alcuni esempi di prodotti conosciuti e consumati su larga scala. Ad esempio, il grano nano, oggi di gran lunga il più diffuso per la sua maggiore produttività, deriva da una mutazione naturale apparsa in Giappone decenni fa, caratteristica poi selezionata dall’uomo e riprodotta, per sfruttarne appunto la resa superiore rispetto ai grani antichi, dal fusto ben più alto. Nel frumento duro non è mai stata riscontrata tale mutazione, che è stata quindi trasferita dal frumento tenero forzando l’incrocio e ottenendo piante con le caratteristiche desiderate.
Con una logica analoga sono state ottenute le pesche noci, dalla buccia liscia e più comode da consumare. Riproducendo una mutazione naturale che disattiva il gene al quale si deve la peluria sui frutti, è derivata una nuova categoria di prodotti. Anche il colore della polpa è stato cambiato per assecondare le nostre preferenze estetiche, infatti il bianco originario è stato sostituito dal giallo, almeno per il mercato dei grandi numeri. Questo è stato possibile inattivando il gene che trasforma il pigmento in componenti aromatiche, originariamente sviluppate dalle piante per attirare insetti e animali allo scopo di diffondere il seme in natura, caratteristica superflua per la coltivazione.
“Copiare” la natura riproducendo le mutazioni vantaggiose
Per adeguare la produzione alle richieste del mercato – in termini di quantità, qualità, resistenza alle malattie, riduzione dei consumi energetici e dell’uso di agrofarmaci – è pertanto necessario, o quantomeno molto conveniente, intervenire sul DNA delle piante. Occorre precisare che queste tecnologie non aggiungono materiale genetico, tantomeno quello non di origine vegetale, come spesso si teme, ma modifica in modo mirato alcuni piccoli segmenti del patrimonio genico per correggere determinati tratti.
Ma cosa si intende allora per mutazione? Su questo, Cattivelli precisa che si tratta appunto della modifica di una sequenza di DNA, che è costituito da tante basi – una pianta ne ha in media 1 miliardo, un essere umano 3,5 – e intervenendo su una soltanto può cambiare una specifica caratteristica. Inoltre, conoscendo ciò che si vuole mutare si opera in modo preciso e non casualmente, come invece avviene in natura.
Produrre di più in modo sostenibile
Una delle sfide dell’agricoltura del presente e del futuro è quella di produrre di più e meglio utilizzando però meno risorse naturali, come suolo e acqua. La sostenibilità è la parola d’ordine e le biotecnologie possono essere un alleato. Ad esempio, per elevare la produzione cerealicola, come puntualizza Cattivelli, “è possibile aumentare il numero dei semi per unità di superficie, oppure puntare sul peso dei singoli semi. Il numero dei semi dipende da quanti ne contiene una spiga, mentre l’altra variabile decisiva è il numero di spighe che possono crescere per ogni metro quadrato di terreno coltivato. Si tratta di aspetti apparentemente banali, ma che celano anni di ricerche e storie scientifiche fondamentali. Per ottenere semi di massa superiore, invece, lavorare sulla genetica ci permette di accrescere lunghezza e larghezza di ogni singolo chicco, risultati realizzabili inattivando uno dei geni che limita le dimensioni”.
Il progetto Biotech sul miglioramento genetico vegetale
Biotech è il primo grande progetto italiano finanziato dal Ministero dell’Agricoltura sul miglioramento genetico vegetale, un settore strategico per il progresso agricolo nazionale. Molte delle specie coltivate in Italia, comprese quelle fondamentali per i nostri prodotti tipici, derivano infatti da varietà e ibridi frutto di biotecnologie e conoscenze sviluppate all’estero. Questa condizione evidenzia uno svantaggio per il Made in Italy, che la ricerca può recuperare. A questo proposito, Biotech mira a implementare e trasformare le conoscenze sui genomi delle specie vegetali, per ottenere in Italia prodotti migliorati e più competitivi. In sintesi, Biotech attualmente si occupa di 16 coltivazioni diverse, operando su 4 tematiche principali:
- incremento della produttività;
- resistenza agli stress biotici e abiotici (ovvero alle malattie e agli stress climatici);
- qualità dei prodotti.
Luigi Cattivelli precisa che “il progetto rispetta la normativa vigente e non prevede alcun tipo di prova in campo per piante editate o cisgeniche, limitandosi alla ricerca in laboratorio, dove la pianta può svilupparsi in condizioni perfette. Come si può facilmente immaginare, il passaggio al campo comporta grandi differenze, con tante variabili che incidono, dall’illuminazione al clima, ai competitor che crescono accanto: tutto questo influenza la crescita della pianta stessa. I risultati in campo potranno confermare o smentire quanto verificato in laboratorio e anche dare risultati inattesi, come avviene sempre nella ricerca. Per completare il ragionamento, biotecnologia è biodiversità, e quest’ultima è in parte la biotecnologia del passato: si tratta di due facce della stessa medaglia che è sbagliato vedere come realtà che si avversano”.
Genoma editing e cisgenesi: cosa sono e come si utilizzano
Il progetto Biotech, prosegue Cattivelli, “è basato sulla capacità di indurre cambiamenti precisi nelle piante, attraverso il genoma editing e la cisgenesi. Il primo è un sistema di mutazione mirata eseguita in modo predefinito, senza attendere una mutazione naturale, che pure può avvenire con eventi rarissimi e a distanze temporali e spaziali imprevedibili. Pertanto, modificando un gene all’interno della specie non si inserisce nulla da una pianta a un’altra, ma si corregge uno specifico tratto genetico interno alla pianta. Il risultato sarà indistinguibile a posteriori rispetto a una mutazione naturale, identica all’editing, che non lascia traccia del meccanismo adottato e che viene mosso dalla pianta. Si riproduce la mutazione che si è rivelata efficace e il risultato è esattamente lo stesso anche su altre piante. In altri termini, l’editing è una correzione, un tipo di tecnologia applicata anche nella lotta alle malattie genetiche umane, come l’esperienza di Telethon può confermare”.
Quando si parla di cisgenesi, invece, si intende “il trasferimento di un gene da una varietà a un’altra della stessa specie, o da specie sessualmente compatibili, mantenendo l’integrità strutturale e l’orientamento del gene originario. Si tratta di un principio non molto diverso da un incrocio, quest’ultimo però non trasferisce il solo gene desiderato, ma anche molti altri. Questo aspetto può comportare dei problemi, perché incrociando le piante quello che si ottiene non è esattamente ciò che si ricerca e i tempi sono molto lunghi. Il gene LR67 del frumento tenero, ad esempio, conferisce resistenza a quattro malattie diverse. Se vogliamo spostarlo nel frumento duro abbiamo due strade: realizzare una serie di incroci ripetuti, che possono durare anche decenni, oppure prendere il gene dal frumento tenero e inserirlo nel frumento duro. Questo è un esempio di cisgenesi, e con il progetto Biotech lo abbiamo realizzato, ottenendo quanto desiderato in 2-3 anni”.
Risultati e prospettive
La dottoressa Maria Francesca Cardone, del comitato scientifico Biotech, ha descritto le linee operative del progetto, che vuole coniugare l’innovazione con la preservazione del nostro patrimonio enogastronomico caratteristico Made in Italy. Ecco alcuni dei risultati che provano le grandi potenzialità ai fini delle moderne sfide dell’agroalimentare:
- Pomodori resistenti alle piante parassite, un problema molto invasivo e difficile da affrontare con tecniche diverse dalla genetica. Bloccando la produzione di strigolattoni (ormoni prodotti dalle radici), le piante parassite non riconoscono più quelle da parassitare.
- Sempre per la coltivazione del pomodoro, sono state selezionate varietà resistenti a stress idrico e salino e in grado di accumulare più zuccheri, antiossidanti e vitamina D.
- Basilico e viti resistenti a peronospora (malattia delle piante), utilizzando la cisgenesi;
- Agrumi che contengono licopene e antociani, preziosi antiossidanti (di solito una sostanza esclude l’altra, in base alla pigmentazione rispettivamente giallo/arancione o rossa della polpa).
- Melanzane che non imbruniscono e senza semi.
Oltre alle specie citata, le ricerche interessano anche olivo, albicocco, pesco, ciliegio, melo, pero, frumento e pioppo, in stretta sinergia con i portatori di interesse del settore agricolo, quali associazioni di categoria, imprese, associazioni di produttori e di consumatori. Sempre allo scopo di ottenere nuove specie migliorate, l’Università di Bologna recentemente ha lavorato per selezionare una varietà di pera più resistente e conservabile.
Queste biotecnologie comportano costi e svantaggi?
Riguardo alle diffidenze su questi metodi, di tipo ecologico ed economico, Cattivelli ha affermato che “l’impatto e i costi sono esattamente gli stessi delle coltivazioni che già si utilizzano e che già contengono una quantità incredibile di tecnologia, di cui i consumatori sanno poco o nulla. Queste tecnologie genetiche non devono spaventare, perché sono il passo successivo rispetto a ciò che stiamo già mangiando. Rispondendo alle richieste del mercato, si possono avviare progetti di ricerca per ottenere, quando i risultati sono soddisfacenti, nuovi prodotti. Purtroppo, il problema è la normativa sugli ogm del 2001, che penalizza qualunque nuova tecnologia che allora non esisteva. Secondo gran parte della comunità scientifica, però, le nuove biotecnologie descritte hanno tutte le caratteristiche per essere equiparate alle tecnologie già consentite in campo. In ogni caso, pur rimarcando i vantaggi descritti, non dobbiamo caricare questi strumenti di eccessive speranze e desideri, ma considerarli tra le risorse della genetica oggi a disposizione per creare varietà, insieme alla biodiversità e al sequenziamento. Anche per sfruttare la genetica allo scopo di affrontare meglio la crisi climatica, stiamo aspettando una legge nazionale che consenta la sperimentazione di queste nuove varietà modificate, al di là del rimpallo delle responsabilità tra governo centrale e Regioni”.
Considerando tutto questo, cosa ne pensate dell’uso di biotecnologie in agricoltura?
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