Dentro le Comunità del Cibo, presidi per la tutela della biodiversità
In che modo ciò che coltiviamo e mangiamo influenza la biodiversità di un territorio? Sono tante le trame che permettono di intrecciare legami tra agricoltura, allevamento, cucina e ambiente circostante. E dalla valorizzazione di questa rete si può partire per implementare azioni concrete a tutela della biodiversità, una priorità per la conservazione del Pianeta. Lo sanno bene all’interno della Riserva della biosfera dell’Appennino tosco-emiliano, la più ampia in Italia riconosciuta dall’UNESCO. Proprio in questo contesto si sviluppano le Comunità del Cibo. Che cosa sono e di cosa si occupano? Lo scopriamo insieme attraverso le voci dei coordinatori dei protagonisti.
Comunità del cibo dell’Appennino tosco-emiliano: cosa sono?
Con i suoi 450 mila ettari di estensione e 80 Comuni aderenti, la Riserva MAB UNESCO dell’Appennino tosco-emiliano è la più ampia d’Italia. Intervistato dal Giornale del Cibo, il presidente della Riserva Fausto Giovanelli ci ha spiegato che si tratta di territori dove è riconosciuta l’esistenza di un equilibrio tra attività umane e patrimonio naturale. La loro finalità è sviluppare questo equilibrio in maniera innovativa e creare nuovi valori verso una maggiore sostenibilità.
Sono molte le aree di intervento della Riserva, dalla formazione alle attività naturalistiche fino al grande ambito dell’enogastronomia che è stato protagonista di un evento online lo scorso 7 aprile, occasione per presentare le attività in corso e i progetti futuri. Cibo e ambiente sono, infatti, in costante dialogo e interazione. Immaginare una forma di sviluppo sostenibile di un territorio senza guardare anche alle filiere agroalimentari, soprattutto nelle zone in prossimità dell’Appennino tosco-emiliano, significherebbe rinunciare a un fondamentale elemento di valore.
Nell’ambito della Riserva, dunque, le Comunità del cibo si occupano nel concreto di stimolare la ricerca di strade innovative per le filiere in un’ottica di sostenibilità umana e ambientale. Elemento interessante è la compresenza tra attori differenti: le comunità, infatti, rappresentano uno spazio di confronto che coinvolge agricoltori, allevatori, aziende, ristoratori e consumatori attraverso i gruppi di acquisto. Tutti gli attori insieme possono dare un contributo concreto per raggiungere gli obiettivi condivisi.
Oggi, nella riserva MAB dell’Appennino tosco-emiliano, sono attive tre Comunità del cibo: Alto Crinale che abbraccia i territori della Lunigiana e dell’Appennino parmense, della Garfagnana e dell’Appennino reggiano.
Sensibilizzazione e cultura del cibo: cosa fanno le Comunità
Le Comunità del Cibo coinvolgono attori della filiera a partire da un substrato valoriale condiviso. L’idea stessa del cibo è il cuore delle relazioni tra gli associati che puntano su sostenibilità, etica e km 0, con particolare attenzione ai metodi dell’agricoltura biologica.
Custodia del territorio e delle sue tradizioni
Spesso a farsi promotrici della creazione delle comunità sono proprio le aziende agricole locali, in molti casi a vocazione biologica, che scelgono di mettersi in rete e di lavorare insieme per presidiare il territorio. Quella dell’Appennino, infatti, è un’area di confine, talvolta dimenticata, che ha bisogno che qualcuno se ne prenda cura. I contadini della riserva accolgono questo spunto e diventano autentici custodi della terra, del suo valore e della biodiversità.
Non è un caso che molte delle attività delle Comunità del cibo di Garfagnana, Alto Crinale e Reggio Emilia siano dedicate al recupero dei grani antichi. Sono considerati, infatti, parte della tradizione e delle caratteristiche intrinseche del territorio, veri e propri presìdi di tutela della biodiversità.
Come racconta Lucia Giovannetti per la Comunità del cibo e dell’agrobiodiversità della Garfagnana, in questa area è stato elaborato e proposto un menù che rispetti e valorizzi i prodotti del territorio come le farine di castagne, di mais o a base di grani antichi. In questo modo, vengono fatte assaggiare a un pubblico che magari non conosce la Garfagnana, ma che la può scoprire attraverso il palato.
Cultura e rete, coinvolgendo i consumatori
È questo uno dei valori del cibo come veicolo di promozione e narrazione della Riserva MAB dell’Appennino tosco-emiliano che si ritrova anche in altre attività delle comunità del cibo della zona. Molti sono i programmi attivi con le scuole per sensibilizzare i giovani e aiutarli a conoscere meglio il territorio attraverso i suoi prodotti.
Le Comunità del cibo, infine, sono un importante network tra attori della filiera agroalimentare. Isabella Valcavi, titolare di un’azienda agricola parte della Comunità del cibo reggiana, racconta come si sia formata una rete virtuosa tra i membri del gruppo. È stato recentemente siglato un accordo di “mutuo aiuto” per cui, in caso di necessità, si partecipa gli uni alle attività degli altri, oltre a unire le forze per partecipare a fiere, mercati e punti vendita.
Dall’incontro tra persone che hanno a cuore il cibo nascono anche altri progetti che hanno un impatto concreto sul territorio. È il caso del bio-distretto di Reggio Emilia che presto vedrà la luce e coinvolge molte aziende già parte della Comunità del Cibo. Si tratta, in questo caso, di un network di imprese bio, amministrazioni, associazioni, operatori turistici e semplici cittadini che stringono un accordo per gestire le risorse in maniera sostenibile. Sostenuta anche attraverso la recente legge della Regione Emilia-Romagna sull’agricoltura sociale, la creazione del biodistretto porta i consumatori a sentirsi co-produttori di ciò che mangiano direttamente dal territorio dove vivono.
Le Comunità del Cibo, dunque, parto dai frutti del territorio per costruire relazioni. Le conoscevate?
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